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Channel: Un condominio in cucina
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Zuppa di ceci e funghi champignon

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Ve lo dico: amo il freddo e amo l'inverno!
Sì, l'inverno quello vero, quello delle giornate gelide, quello in cui l'aria di tramontana da un lato ti sferza il viso, ma dall'altro ti regala cieli così tersi e stupendi che si lasciano ammirare con sguardo incantato!
Peccato che nella zona dove abito, è l'umidità ad averne la meglio... ma quando arriva la giornata che dico io, esco fuori e ci resto per tutto il tempo che posso o almeno fino a quando non sento più le dita delle mani, la punta dei piedi e quella del naso!!! :-D
Il freddo ha il potere di restituirmi energia e vitalità!
E dire che sono nata in pieno solleone eh?? Ma so' strana, lo so! ;-)

Dell'inverno amo anche i piatti: il brodo, le vellutate, le zuppe di legumi, di verdure e soprattutto il mix delle due; così, mentre l'altro giorno preparavo una delle mie preferite mi son detta: ma perché non portare questo piatto nella cucina condominiale?
Ecco allora la mia zuppa di ceci e funghi! Due soli ingredienti che, messi insieme, restituiscono un gusto pazzesco. Mi ritrovo a dire, ancora una volta, che anche in cucina la semplicità è la miglior cosa!!! :-)))


RICETTA

500 g di ceci giganti secchi (possibilmente canadesi o messicani)* 
5 cucchiai di olio extravergine di oliva
2 spicchio d'aglio in camicia
1 rametto di rosmarino
4 grani di pepe nero intero
acqua q.b.
sale q.b.
500 g di funghi champignon freschi
olio extravergine di oliva
qualche fogliolina di prezzemolo
peperoncino (se piace)
pane

* i ceci messicani o canadesi hanno la caratteristica di essere molto farinosi e si prestano bene per le cotture lente e prolungate in quanto rilasciano piano piano parte della loro polpa regalando una cremosità senza eguali.

Prima cosa: lavare i ceci (può sembrare un'operazione superflua, ma in realtà non lo è per niente
perché la parte esterna di tutti i legumi raccoglie un sacco di impurità durante la fase di raccolta, stoccaggio e confezionamento; vi accorgerete infatti che l'acqua uscirà piuttosto marroncina...), versarli in una ciotola molto capiente e coprirli con abbondante acqua fredda fino a che siano ben sommersi.
Cambiare l'acqua ogni 12 ore e mantenere in  ammollo per un totale di 36 (del perché di tutto questo tempo parleremo dopo).
Trascorso il tempo di ammollo, scolare i ceci, versarli in una capiente pentola e coprirli ancora con acqua fredda fino a che la superficie superi di almeno tre dita il livello dei ceci; unire due spicchi d'aglio interi, due rametti di rosmarino, i grani di pepe e i 5 cucchiai di olio.
Accendere il fuoco e, al raggiungimento del bollore, abbassare al minimo la fiamma in modo che i ceci si muovano appena appena all'interno della pentola e portare a cottura (ci vorranno un paio d'ore). Nel caso in cui l'acqua venga completamente assorbita, aggiungerne dell'altra (sempre bollente).
Quando mancano dieci minuti alla cottura, regolare di sale, prelevare un paio di mestoli di ceci e con il frullatore ad immersione ottenere una purea da versare nuovamente nella pentola.
In una padella, trifolare i funghi mettendo un paio di cucchiai d'olio, sale, pepe e qualche fogliolina di prezzemolo; portare a cottura, far rosolare per benino ed unire i funghi alla zuppa di ceci, lasciando insaporire il tutto per 10-15 minuti.
A questo punto abbiamo due possibilità:
- servire la zuppa con dei crostini di pane,
- oppure con della pasta spezzata (spaghetti) o con dei cavatelli.
Se optiamo per la pasta, valutare la necessità di aggiungere un po' di acqua per la cottura della stessa; se invece la zuppa è piuttosto morbida, non sarà necessario.
Subito dopo aver impiattato, versare un filo d'olio a crudo, portare in tavola e gustare fino all'ultimo cucchiaio! :-)))))



CONSIGLIO DEL GIORNO

Visto che i ceci hanno bisogno di quasi due giorni di ammollo, può essere utile lessarne quantità maggiori e conservarle in freezer. Al momento che ci vien voglia di fare una zuppa o una pasta e ceci, sarà sufficiente farli decongelare, riportarli a bollore, aggiungere i funghi e lasciare insaporire oppure buttarci dentro una manciata di pasta e in un attimo pranzo o cena sono salvi! ;-)
Ma perché un ammollo così lungo per i ceci?
Durante la fase di ammollo, l'acqua penetra all'interno del legume idratandolo e rendendo la fase di cottura molto più rapida. In questo modo tutte le proprietà nutritive del legume vengono preservate a vantaggio di una sana e corretta alimentazione.



Il colore della primavera è nei fiori; 
il colore dell’inverno è nella fantasia.
 (Terri Guillemets)

Torta del cavolo con romanesco, patate e feta

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Appena ho visto questa ricetta del cavolo (La Tarte de batata e romanesco dal blog Sweet gula) ho esclamato "Ecchecavolo, col cavolo che la faccio!" Sì, col cavolo broccolo romanesco, uno delle più belle sculture del cavolo che la Natura ci abbia regalato.
Così, per salvare capra e cavoli, ho fatto fuori il lupo,  mi sono fiondata in cucina per farmi i cavoli miei, perché volevo starci come i cavoli a merenda, e non fare un cavolo bensì un cavolo e tre patate!
Ok la pianto qui...

Ricomincio.
Appena ho visto questa ricetta del cavolo (La Tarte de batata e romanesco dal blog Sweet gula) sono rimasta colpita subito dalle sue foto, confesso, e poi mi ha incuriosito il resto. I cavoli e le patate sono fra i miei ortaggi preferiti, in questo periodo soprattutto i cavoli, che ho scoperto facciano benissimo, hanno poche calorie e sono fra gli ortaggi più nutrienti e salutari, quindi ciao ciao! questa torta, la cui base è impastata con farine non raffinate, e che ho arricchito con feta, menta e curcuma, mi è sembrata proprio irresistibile e pure bella, neh che è bella?

La ripianto qui, procedo con la ricetta ma vi do appuntamento nella sezione DI PERTINENZA, per un suggerimento e qualche approfondimento, e in quella  ROMANESCAmente per due risate :)




RICETTA

Ingredienti per uno stampo da 26 cm ø

Per la base
360 g di farine * (300 g farina tipo 1 e 60 g grano arso, oppure 230 5 cereali e 130 g tipo 1)
100 g di acqua
    4 cucchiai di olio extra vergine d'oliva
    2 uova
clicca sull'immagine per ingrandire
    1 cucchiaino da tè di lievito per torte salate
    1 cucchiaino di sale

Per il ripieno

600 g di patate (se novelle possiamo usare anche la buccia)
400 g di cavolfiore romanesco (al netto degli scarti
100 g  di latte scremato
150 g di feta (o altro formaggio a scelta)
    3 uova
    1 yogurt greco
q.b. di menta fresca
q.b. di curcuma in polvere (o fresca grattugiata)
q.b. sale, pepe e noce moscata


*Nella ricetta originale Célio indica metà farina integrale e metà farro, io ho provato le due combinazioni indicate su, entrambe ottime, quella al grano arso molto rustica, quella ai cereali più delicata. Direi che si possono usare più mix di farine, possibilmente biologiche e profumate.


Preparazione:

Mescolare la farina, il lievito e il sale in una ciotola.
 Fare un buco nel centro e aggiungere l'olio d'oliva, le uova leggermente sbattute e l'acqua.
 Impastare velocemente fino a quando gli ingredienti si legano. Se fosse necessario aggiungere altra acqua, le farine scelte potrebbero richiederne altra.
Oppure, schiaffare tutto in planetaria e far fare il lavoro sporco ad essa.
✑ Formare una palla e lasciate riposare.

✑ Lessare le patate intere con la pelle in acqua salata, facendo attenzione a non scuocerle.
✑ Scolate le patate e, se novelline lasciarle intere, se novelle tagliarle in pezzi, se vecchie bacucche con la pellaccia dura spellarle e tagliarle.
✑ Lavare e dividere in cimette il cavolo.
✑ Preriscaldare il forno a 180 ° C statico o 160 ° ventilato.

✑ In una ciotola, sbattere leggermente le uova e lo yogurt greco. Versare il latte e continuare a battere.
✑ Aggiungere metà del formaggio e la menta tritata, condire con sale, abbondante pepe, curcuma e noce moscata e mescolare bene.
✑ Tirare l'impasto base col mattarello, stenderlo su uno stampo da crostata e bucherellare il fondo con una forchetta.
✑ Coprire col cavolo (inteso come broccolo, e non come "col cavolo che copro!"), anzi, con la metà del cavolo e  delle patate e versare il liquido sopra le verdure.
✑ Aggiungere le rimanenti patate, le cimette e sbriciolarvi sopra il restante formaggio.
✑ Cuocere circa 30/35 minuti, avendo cura di escludere la resistenza sopra per i primi 20 minuti onde evitare lo sbruciacchiamento del cavolo.

Servire il cavolo a merenda :) (magari con una bella tazza di cioccolata calda... !?)





DI PERTINENZA

L'INSALATA DEL CAVOLO.
Il cavolo mi piace in tutti i modi, in tutti i luoghi, in tutti i laghi e in tutti i colori. Mi piace quello bianco, quello verde, il broccolo, il cappuccio, testa di rapa, lesso, fritto, al forno ma  soprattutto mi piacciono tutte le varietà di cavolfiore crudo. Ad esempio, in insalata. 
Rigorosamente crudo,  diviso in cimette o tagliato a fettine, condito con una emulsione di: olio, sale, succo di limone o aceto di mele, curcuma, pepe e zenzero fresco grattugiato. A cui aggiungere, a seconda della disponibilità di ingredienti o secondo gusto, finocchi, arancia tagliata a vivo, uvetta, frutta secca (noci, mandorle o pinoli), pomodori secchi, semi di fionocchio, olive.





QUANTO VALE UN CAVOLO?
Tantissimo, come accennato nella intro il cavolo è uno tra gli alimenti più nutriente del mondo, difatti è:

 1) Antinfiammatorio Naturale
 2) Più ricco di ferro della carne (ma più sostenibile)
 3) Ricco di fibre
 4) Ricco di acidi grassi, omega 3 e omega 6
 5) Ricco di calcio
 6) Rinforza il sistema immunitario
 7) Antiossidante naturale contro i radicali liberi
 8) Disintossicante e Antitumorale
 9) Abbassa la pressione
10) Protegge cuore e arterie

e meno male che non vale un cavolo!

FACCIAMOCI I CAVOLI NOSTRI
Tantissime le varietà  (clicca sui cavoli per saperne di più)
 Cavolfiore arancione  ✿ Cavolfiore bianco  Cavolfiore verdeCavolfiore romanescoCavolfiore violaCavolo broccolo Cavolo di Bruxelles Cavolo cappuccioCavolo cappuccio rossoCavolo rapaCavolo verza Cime di rapaCavolo nero.


Fonti:
http://www.ilgiardinodellemeraviglie.it/it/cavoli-broccoli-verze.html
(nota: non ho alcun interesse pubblicitario rispetto al secondo link  che rappresenta una azienda di vendita online, ma offre una descrizione puntuale dei singoli cavoli, anche l'indicazione della stagionalità degli stessi, questa è l'unica ragione per cui ho citato e linkato quel sito. Insomma, nun me pagano pe citalli:)



ROMANESCAmente

Che vogliamo aggiungere sul romanesco? Noi niente, i romaneschi invece... avoja quanto cianno da raccontà!!

Imperdibili perle romanesche tratte dal sito Turbozaura

Occhio... anzi, orecchio all'audio! (Indovina le voci... condominiali!!)

IN AUTO

TE SGARO 'A MÀGHINA: Sto per impugnare un bel mazzo di chiavi per vendicarmi verso di te rigando la tua auto. (AUDIO)

È 'N ORA CHE STAI 'N MEZZO ALLA STRADA: T'HO SFANALATO COSÌ TANTO CHE TE SEI ABBRONZATO!: La mia pazienza ha raggiunto il limite: non so più come far capire all'autista della macchina antistante la mia che deve portarsi sulla corsia di destra onde permettermi il sorpasso. (AUDIO)

CIAI 'NA MÀGHINA TARMENTE LENTA CHE I SEMAFORI TE MANDANO I COLORI PE' RACCOMANDATA CO' RICEVUTA DE RITORNO: La velocità del tuo veicolo è così incommensurabilmente limitata da rendere inutile l'impiego della segnaletica luminescente. 

ER CLACSON TE FUNGE, MO' PROVA 'N PO' LI FARI?: Da usare quando ad un semaforo un'autovettura sollecita insistentemente la partenza delle vetture davanti, anche se ancora non è scattato il verde. 

AHÒ, MA CHE STAI A ASPETTÀ, ER VIOLA?: Tipico urlo capitolino rivolto ad una persona che, scattato il verde, non parte in tempi brevi. 

MA 'A MÀGHINA TUA È TARGATA CARTAGGINE?: La tua macchina è proprio un pezzo d'antiquariato! Ma il bottino di guerra di Scipione l'Africano? 
 
"CHE NUN L'HAI VISTA 'A FRECCIA?", "NO, M'ERO EMOZIONATO (DISTRATTO) GUARDANDOTE 'E CORNA!": Tipico "botta e risposta" tra due automobilisti metropolitani che si sono appena tamponati. 

"CHE, HAI CAMBIATO?", "NO, STO ANCORA CO' TU' SORELLA!": Elegante scambio di opinioni tra affabili guidatori metropolitani. La domanda, dagli apparenti toni increduli, è in realtà una forma di scherno che sottolinea come durante il cambio della marcia, il conducente al quale ci si rivolge, abbia effettuato una "grattata" degli organi meccanici del cambio. Di facile comprensione la risposta. (AUDIO)

AHÒ, SO' FINITI I COLORI!: Da rivolgere a persona che si attarda oltremodo a un semaforo verde. (AUDIO)

VAI TARMENTE PIANO CO''A MÀGHINA CHE LI MOSCERINI TE SE SPIACCICANO DE DIETRO: Sei un tipo che conduce l'automobile in modo estremamente lento. 

CIÒ L'INTESTINO IN DISCUSSIONE: La tua guida è eccessivamente sportiva. 

AHÒ, PIÙ VERDE DE COSÌ NUN DIVENTA!: Espressione nervosa da rivolgere all'autista della macchina che ci precede al semaforo per dirgli: "puoi anche passare il semaforo visto che è verde".
MA CHE, ER SEMAFORO CE L'HANNO DIPINTO?: Accidenti, questo semaforo non scatta mai sul verde! (AUDIO)

MA CHE 'STO SEMAFORO È BISESTILE?: Il tempo d'attesa dovuto al rosso di questo regolatore di traffico è francamente eccessivo.


POLITICAMENTE SCORRETTE 

TE DO 'NA CAPOCCIATA 'N FACCIA CHE TE FACCIO COMPARÌ 'A SCRITTA "GAME OVER": Ti consiglio di tenerti a dovuta distanza da me in quanto sto perdendo il controllo dei nervi. 

TE DO 'NA CINQUINA TARMENTE FORTE CHE QUANNO SMETTI DE GIRÀ T'ARITROVI NER FUTURO!: La mia violenza su di te potrebbe farti compiere dei balzi nel tempo. (AUDIO)

TE DO 'NA PIZZA 'N FACCIA CHE QUANNO TE RISVEJI TONNO E MAIONESE SO' SCADUTI: Ho perso completamente la pazienza; ti consiglio vivamente di prendere le distanze da me. (AUDIO)

TE SMONTO E DO FÒCO ALLE ISTRUZIONI: Riduco il tuo corpo in tanti piccoli pezzettini incastrabili soltanto con l'aiuto di un manuale di istruzioni. (AUDIO)

TE DO 'NA CASTAGNA 'N PETTO COSÌ FORTE CHE CO' LE COSTOLE CE GIOCAMO A SHANGAI: Sto per darti un cazzotto talmente forte da frantumarti la gabbia toracica.

TE DO 'NA CROCCA 'N TESTA CHE TE MANNO ER CERVELLO DENTRO 'E MUTANNE: Ti do un pugno in testa talmente forte che il tuo cervello si staccherà dal cranio e andrà a finire nei tuoi tanto amati slip.

TE STRAPPO L'OCCHI E TE LI METTO 'N MANO, COSÌ PÒI VEDÉ QUANTO SEI STRONZO!: Vai a guardarti allo specchio e giudicati da solo. (AUDIO)

QUANNO SEI NATO TU' MADRE T'HA GUARDATO ER CULO E LA FACCIA, E HA DETTO: "CHE BELLO, SO' GEMELLI!": La sfacciataggine è in ambito metropolitano considerata un fattore genetico, tanto che sin dalla nascita è possibile, con attento esame fisico, stabilirne la presenza nel futuro carattere dell'individuo. Nota come "naticologia", e legata alla fisiognomica di cesare lombroso e alla frenologia di Franz Joseph Gall, nacque dallo studio della sindrome da "paraculite acuta", piaga epidemica non ancora debellata. 

MA CHE TE SEI MAGNATO L'OVETTO KINDER? NO, PERCHÉ CIAI L'ALITO CH'È 'NA SORPRESA!: Il tuo alito è davvero insopportabile. 

SEI PIÙ SFIGATO DE 'N MONCO APPESO A 'NA RUPE COL PRURITO AR CULO: La tua sfortuna in ambito sociale è davvero imbattibile.

SEI TARMENTE BRUTTO CHE SE T'AVVICINI AR COMPUTER PARTE L'ANTIVIRUS: La tua bruttezza è talmente spiccata da mettere a repentaglio anche la sicurezza di qualunque essere o oggetto che dovesse venire a contatto con la tua persona. (AUDIO)

SEI COSÌ ZOZZO CHE AR POSTO DELL'ACE GENTILE DEVI USÀ L'ACE 'NCAZZATO: Le formule delicate dei detersivi più comuni si rivelano inefficaci di fronte al tuo stato igienico. Probabilmente dovranno inventare dei ritrovati dalle formule chimiche molto più aggressive. (AUDIO)

SEI TARMENTE 'N PORACCIO CHE SI APRI 'A CREDENZA DE CASA TUA CE STANNO LI TOPI CHE SE DISPERANO: Nemmeno i topi, che solitamente si accontentano di poco, riescono a condurre un'esistenza dignitosa a casa tua, vista la costante penuria persino di beni primari. Spesso pronunciata da amici per nulla soddisfatti dopo l'ultimo invito a cena. 

SEI COSÌ BASSO CHE TE PUZZANO I PIEDI DE GEL: Non sei proprio una torre.

SEI TARMENTE BASSO CHE PE' SPUTÀ PE' TÈRA DEVI SALÌ PRIMA SUR MARCIAPIEDE, SENNÒ T'AFFOGHI: Le tue ridotte dimensioni in fatto di statura fanno sì che una superficiale pozzetta di saliva rappresenti un serio pericolo. 

CIAI 'NA JELLA TARMENTE GRANNE CHE SI TE FERMI A 'N'INCROCIO T'ATTRAVERSA 'N CAMION CARICO DE GATTI NERI: La tua sfortuna è decisamente fuori dal comune.
  
SEI TARMENTE BRUTTO CHE SULLA TOMBA TE METTERANNO 'A FOTO TUA DE SPALLE!: La tua indicibile bruttezza non merita compassione neanche da morto. 
  
SEI COSÌ BRUTTO CHE QUANNO SEI NATO, SULLA CULLA AR POSTO DER FIOCCO T'HANNO MESSO ER TESCHIO: Insulto rivolto a una persona oltremodo orripilante, soprattutto in volto. 
  
SEI TARMENTE STRONZO CHE 'E MOSCHE FANNO A CAZZOTTI PE' VOLATTE ATTORNO: Sei una persona davvero poco amabile.

SEI TARMENTE GRASSO CHE SE SALI SU 'NA BILANCIA TE DICE "PREGO, SALIRE UNO ALLA VÒRTA": Il tuo peso è paragonabile a quello di più persone insieme. (AUDIO)

SEI COSÌ SECCO CHE SI NUN CIAVEVI 'A PELLE STAVI SPARSO: Sei di corporatura talmente magra e priva di qualsiasi tessuto muscolare che se non fosse per la pelle che ti contiene, le tue ossa non avrebbero modo di sorreggersi. (AUDIO)

AMMAZZA QUANTO SEI BRUTTO: MA DE CHE SEGNO SEI, 'O SCARABOCCHIO?: La tua bruttezza è tale che anche l'astrologia ti respinge. (AUDIO)

CIAI 'N COMBATTIMENTO DE POKEMON NELL'INTESTINO?: Hai emesso del gas intestinale con un rumore terribile. 
  
MA OGGI NUN C'ERA LO SCIOPERO DE LI DEFICIENTI?: Ti prego di smetterla con questi discorsi insulsi. L'espressione sottolinea la forte stupidità dell'interlocutore, spesso totalmente incapace a costruire discorsi sensati. 

CIAI DU' ZINNE TARMENTE GROSSE CHE SI TE FERMA 'A POLIZIA TE CHIEDE ER PORTO D'ARMI: Hai un seno così generoso che potrebbe sembrare un apparato esplosivo: bombe... A mano? 
  
SI TE SCRIVO NATALE SU 'NA COSCIA E CAPODANNO SULL'ARTRA TE POSSO VENÌ A TROVÀ FRA LE FESTE?: La tua attraenza supera ogni aspettativa maschile: si consiglia di trattenere gli ormoni a chiunque si trovi di fronte a una simile Musa.

CIAI 'N CULO CHE PARONO DUE!: Hai un sedere spropositato. Si dice a quelle ragazze che proprio la dieta non sanno dove sia di casa, e si portano i loro chili di troppo senza colpo ferire.
 
I GUSTI SO' GUSTI... COME DISSE ER GATTO MENTRE SE LECCAVA ER CULO!: Espressione faunistica per tacere chi, nonostante l'evidente bruttezza di una cosa, continui a elogiarla. 

TE STRAPPO 'E CORDE VOCALI, LE LEGO AR VIOLINO E POI CÈ SÒNO ER VALZER DE STRAUSS: Non posso più sentirti parlare. Smettila immediatamente o dovrò intervenire io con le maniere pesanti. 

L'ANICE È 'R BUCIO DER CULICE: Adagio godereccio, letteralmente traducibile con "l'ano è il buco del culo", possiede una duplice valenza: la prima è un invito a non esprimere verità universalmente note con pleonastici e ridondanti paroloni. La seconda, consequenziale alla prima, è un pacato rimprovero a non avvalersi di argomentazioni ovvie e scontate. 
  
SEI COME 'N'ARBERO DE BANANE: NE FACESSI UNA DRITTA!: Non fai mai le cose nel modo giusto. 
  
SEI TIMIDA COME 'NA SCUREGGIA CO''N MICROFONO AR CULO: Vuoi sempre metterti al centro dell'attenzione apparendo spesso troppo invadente e rumorosa. 


VIETATE AI MINORI

CIAI 'NA SFIGA TARMENTE GRANNE CHE SI TE CASCA 'R CAZZO T'ARIMBARZA 'N CULO: Frase da rivolgere a coloro i quali sono, nell'intero arco della loro esistenza, perseguitati dalla cattiva sorte, che si abbatte su di loro in modo assiduo e incontrollabile. 

NUN ME TE SCOPEREBBI MANCO COR CAZZO DE 'N ARTRO: Visto il tuo aspetto poco invitante non mi azzarderei ad avvicinarmi a te per un rapporto sessuale nemmeno se mi fosse concesso di utilizzare il membro di un altro individuo. 

SI TE BUTTENO 'N PIRANAS DENTRO 'E MUTANNE SE MÒRE DE FAME: Le dimensioni del tuo apparato genitale sono tutt'altro che considerevoli.

HAI VISTO PIÙ PISELLI TE CHE 'A ZUPPA DER CASALE: Sta ad indicare una donna che si concede a molteplici uomini con facilità e disinvoltura. L'espressione fa riferimento, per analogia, alla famosa "Zuppa del Casale" surgelata di Findus, ricchissima di cereali

CIAI ER CAZZO TARMENTE PICCOLO CHE SI TE NE VAI A COMPRÀ UNO UGUALE TE LO 'NCARTANO CO''N CORIANDOLO: Le dimensioni del tuo apparato riproduttivo sono alquanto modeste. 
SEI COSÌ FREGNA CHE CIÒ L'ORMONI CHE CHIEDONO PIETÀ: Il tuo fascino provoca in me sconvolgimenti ormonali indelebili.

Fonte:  http://www.romanesco.it/tascabile.asp


Veneziana al "burrolio" con limone e cioccolato bianco.

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Questa è un'altra di quelle ricette da archiviare nella cartella "folgorazioni".
A voi capita mai di leggere una ricetta e rimanere inebetiti per tutta la giornata senza togliervela dalla testa? Ecco, a me sì! E pure spesso!!
Stavolta è stato il turno di un lievitato da ricorrenza la cui particolarità è la sostituzione del burro con un'emulsione a base di olio extravergine di oliva e latte, che in gergo viene chiamato appunto "burrolio". Potevo non provare???
Come al solito, la ricetta originale ha subito qualche deviazione...
Nella mia cucina, la bellissima colomba di Serena ha preso le sembianze di una veneziana e la classica glassa, tipica sia dell'una che dell'altra forma, è stata sostituita da una al cioccolato bianco che, a mio parere, si sposa benissimo con il profumo ed i canditi di limone.
Ecco, appunto. Ho anche sostituito i canditi di arancia con quelli al limone.
E per la massa aromatica  ho scelto quella del Maestro Favorito, uno dei miei più grandi miti, in tema di lievitati.
Nient'altro? No, nient'altro! Per il resto ho lasciato tutto come da ricetta.
Ah no, un'altra cosa la devo dire!
Son rimasta estasiata dalla possibilità di sostituire il burro con questa emulsione a base di latte ed olio extravergine di oliva e di come rende soffice un impasto! Penso di provarla anche nei piccoli lievitati da colazione e tutte le volte in cui vorrò sostituire la qualità di grasso da utilizzare per una più sana alimentazione.
Bando alle chiacchiere ora.
Questo lievitato richiede tempo, dedizione, attenzione e tanta, tanta passione! 
Avrete molto da leggere e non voglio distrarvi da quello che conta veramente se mai un giorno vorrete provare questa meraviglia!
Come tutti i grandi lievitati, abbiamo bisogno di due giorni di tempo che, all'apparenza, possono sembrare tanti, ma in realtà, in sole 48 ore (considerati anche i tempi per i rinfreschi) avremo prodotto una bomba di straordinaria bellezza ed altrettanta bontà!
Un impasto soffice, filante, morbido che si siiiiiiiioglie in bocca fino a quando si incontra il candito di limone che, inseme al cioccolato bianco, sono un'esplosione di sapore! 
Per non parlare del profumo che esalta il tutto in maniera pazzesca!
L'impasto non è molto dolce, ma si sposa perfettamente con la glassa (che vi assicuro, anche per i non amanti del cioccolato bianco come me, è qualcosa di straordinario).
Così come per i panettoni e le colombe, sarebbe bene attendere ALMENO 5-6 giorni prima di aprirli e gustarli; questa mia veneziana invece è stata aperta il giorno dopo la cottura e divorata mangiata a fine pranzo in cui tutti hanno fatto il bis senza lasciare neppure una briciola che fosse una!!
Io, per non sembrare la Annie Leibovitz del caso, ho fatto qualche scatto al mattino e poi, al momento del taglio, son riuscita a malapena ad immortalare un piccolo fiocco, ma prometto solennemente che rifarò foto decenti da lasciare qui insieme a questa fantastica ricetta. 
Pasqua si avvicina... che dite la facciamo questa veneziana???
Sperando di semplificare e schematizzare il più possibile, ho diviso la sequenza di operazioni da fare nel primo e secondo giorno,
Pronti, partenza, via!





PREMESSA
Preparazione del lievito madre 
Per questo tipo di lievitati, la nostra pasta madre dovrà essere in forma smagliante per restituire al prodotto finito fragranza, morbidezza, umidità e conservabilità.
Preparare il lievito madre per portarlo al massimo delle forze: se possibile, tenerlo a temperatura ambiente rinfrescandolo due volte al giorno, per una settimana, con la farina indicata nella ricetta, o con quella che deciderete di usare (comunque una buona manitoba).
Se questo vi è impossibile, per mancanza di tempo, cercare di rinfrescarlo spesso durante la settimana, e poi riporlo in frigo. Il giorno antecedente il primo impasto, toglierlo dal frigo e tenerlo a temperatura ambiente rinfrescandolo tre volte secondo i seguenti orari per averlo pronto nel caso decidiate, come me, di fare il primo impasto dopo cena.
Dopo ogni rinfresco, e prima di procedere con il successivo, il lievito va mantenuto ad una temperatura di 28 gradi per consentire uno sviluppo ottimale (forno acceso con la lucina e una tazza grande piena di acqua calda).
 PRIMO GIORNO
1. Rinfreschi del lievito 
  • ore 08:00 oppure ore 09:00 primo rinfresco
  • ore 12:00 oppure ore 13:00 secondo rinfresco
  • ore 16:00 oppure ore 17:00 terzo rinfresco
  • ore 20:00 oppure ore 21:00 preparazione del primo impasto
Per il primo rinfresco, potete seguire questi consigli.
Il secondo ed il terzo potranno essere fatti senza "bagnetto" e con pari peso tra lievito e farina e la metà di acqua (ad esempio 50 di lievito + 50 di farina + 25 di acqua).

2. Preparazione del burrolio (foto 1 e 2 nel collage)
  • 90 g di olio extravergine di oliva
  • 40 g di latte intero
  • un pizzichino di sale
Miscelare tutti gli ingredienti con il minipimer, finché il composto diventa denso (ci vorranno circa 30 secondi). Dividere l'emulsione in due porzioni da 65 grammi e conservare in frigo.

3. Preparazione della massa aromatica (foto 3) (tratta dal libro "La mia pasta lievitata" del M° Favorito)
  • 10 g di miele
  • 10 g di zucchero semolato
  • 10 g di sciroppo di glucosio (sostituibile con altri 10 g di miele)
  •   7 g di acqua 
  •   3 g di acqua di fiori d'arancio
  • 60 g di arancia candita a cubetti
  • 1 pizzico di sale
  • buccia grattugiata di un limone
  • qualche goccia di estratto naturale di vaniglia 
In un pentolino scaldare l'acqua con l'acqua di fiori d'arancio, il pizzico di sale e lo zucchero, ottenendo uno sciroppo; unire il miele, lo sciroppo di glucosio e mescolare bene fino ad emulsionare il tutto. Togliere dal fornello, unire la vaniglia, la buccia del limone, i cubetti di arancia candita e, con l'utilizzo di un cutter (va benissimo anche il minipimer) tritare il tutto ottenendo una purea molto fine.
Conservare la pasta così ottenuta in frigorifero (quella che avanza potrà essere congelata e conservata per aromatizzare brioche o altri lievitati dolci).

4. Preparazione del primo impasto(foto 4 e 5)

RICETTA 
(per una veneziana da un chilo o due da 500 grammi)

Primo impasto
  • 75 g di pasta madre (oppure 50 g lievito naturale liquido)
  • 250 g di farina W 360-400 (270 g se si utilizza li.co.li)
  • 145 g di latte intero;
  •   40 g di zucchero;
  •   48 g di tuorli (circa 3 uova medie)
  •   65 g di burrolio (in alternativa, burro bavarese)
(clicca per ingrandire)
✑ Sciogliere il lievito madre nel latte; aggiungere tanta farina (setacciata) quanta ne occorre a legare la massa  utilizzando la frusta K (o a foglia).
✑ Inserire i tuorli uno alla volta, seguiti da una parte dello zucchero da una di di farina, facendo in modo da esaurire i tre ingredienti contemporaneamente e mantenendo sempre in corda l'impasto prima di ogni inserimento.
✑ Sostituire il gancio a spirale alla frusta e aggiungere il burro all'olio poco per volta.
Essendo l'impasto piuttosto consistente, lo assorbirà piano piano. Non abbiate fretta. Ribaltare l'impasto di tanto in tanto e lasciare andare la planetaria finché la massa non si staccherà dalle pareti della ciotola lasciandola pulita e finché la maglia glutinica sia ben formata. L'impasto si presenterà non troppo morbido (foto 4). Fare la prova velo (foto 5).
✑ A questo punto prendere l'impasto e metterlo in un recipiente dai bordi diritti* ed appiattire l'eventuale cupola, in modo che risulti semplice calcolarne l'effettiva crescita di volume (foto 5)
✑ Sigillare con un coperchio o con pellicola trasparente lasciare lievitare fino a quando non sarà triplicato di volume (foto 6). Ad una temperatura di 25° ci vorranno circa 8 ore (foto 7).

* trovo molto utili i secchielli stretti ed alti dove di solito vendono le olive al supermercato.

SECONDO GIORNO

Secondo impasto mattutino:

  • tutto il primo impasto
  • 135 g di farina W 360-400
  •   70 g di zucchero
  •   48 g di tuorli
  •   65 g di burrolio (oppure burro bavarese)
  •   40 g di massa aromatica
  •     3 g di malto diastasico
  •     3 g di sale
  •   30 g di canditi di arancia raffinati con un cutter
  • 150 g di canditi di limone ridotti a cubetti di 9x9 mm
✑ Mettere il primo impasto nella planetaria (con il gancio a bassa velocità); unire i tuorli, alternandoli allo zucchero e alla farina (riservarne 1/4 da incorporare con il burrolio).
✑ Con l’ultimo tuorlo, aggiungere anche il sale per poi unire, in due volte,  l'emulsione ed i canditi d'arancia ridotti in pasta (anche in questa fase l'impasto si presenterà piuttosto sodo, ed è così che deve essere).
✑ Incorporare il burrolio alternandolo a qualche cucchiaiata di farina e portare ad incordatura.
A questo punto l'impasto si presenterà morbido, lucido e perfettamente elastico (foto 8-9-10), pronto per accogliere i canditi che possiamo unire in due modi:
- incorporarli con il gancio della planetaria alla minima velocità per non rovinare l'incordatura;
- ribaltare l'impasto su un piano di lavoro, stenderlo in una sfoglia sottile e far cadere a pioggia i canditi per poi richiudere il tutto a mo' di fazzoletto e con qualche colpo di slap&fold ricompattare il tutto (foto da 11 a 16).
Lasciar puntare l'impasto ad una temperatura di 26-28 gradi per circa un'ora.
✑ Trascorso questo tempo, mettere l'impasto (coperto con pellicola) in frigorifero per circa un'oretta; estrarlo ed eseguire la prima pirlatura. Lasciare riposare per una mezz'ora ed eseguire la seconda pirlatura, serrando bene e formando quasi una sfera.
✑ Mettere l'impasto nel pirottino; chiudere con un sacchetto e lasciare lievitare a 28-30° fino a che la cupola non uscirà dal profilo dello stampo (foto 17-18-19).
Procedere con la scarpatura (foto 20 e 21) e mettere in frigo per 30 minuti prima di procedere con la cottura.

Maestro Biambattista Montanari
"Perché il passaggio in frigo? 
È fondamentale perché consente alla materia grassa presente nell’impasto di ricompattarsi.
 Il burro contribuisce allo sviluppo, impermeabilizza e svolge un’azione contenitiva: se cessa questa azione diminuisce la spinta e quindi anche lo sviluppo. 
Rimettendolo in frigo il burro si ricompatta, fondendo più tardi e permettendo uno sviluppo più prolungato."

✑ Infornare a 170/175° spruzzando un po' d'acqua per creare vapore; dopo circa 30 minuti portare la temperatura 160/165° fino a quando, con un termometro a sonda la temperatura al cuore dell'impasto abbia raggiunto i 93°.
✑ Sfornare, capovolgere immediatamente infilzando la base della veneziana con due ferri ad X e lasciare raffreddare per 8-10 ore, trascorse le quali possiamo procedere alla glassatura.

Glassa al cremino bianco  (tratta dal libro "La mia pasta lievitata" del M° Favorito)
  • 300 g di cioccolato bianco
  •   30 g di olio di semi di arachide
  •   45 g di burro anidro fuso
✑ Fondere a bagnomaria (o al microonde) il cioccolato bianco facendo attenzione a non riscaldarlo troppo previa "cottura" e conseguente inutilizzo.
✑ Aggiungere l'olio di semi ed il burro anidro, fuso (foto 22 e 23).
✑ Lavorare il composto con una spatola fino al raggiungimento della temperatura di 22-23 gradi per il glassaggio (foto 24 e 25).

Glassaggio e finitura

Una volta preparata la glassa, mettere la veneziana su una griglia e procedere alla glassatura ricoprendo tutta la superficie. Prima che solidifichi completamente, cospargere con fiocchi di cioccolato bianco ricavati da una tavoletta di cioccolato bianco raschiata a coltello. 
A mo' di decorazione e per un profumo pazzesco, è possibile disporre le zeste di un limone appena raccolto.
Conservare il lievitato nelle apposite buste e non aprire prima di 5-6 giorni, ovvero il tempo necessario affinché profumi e consistenze sviluppino al meglio! 


Buona veneziana a tutti! :-))))))
Nella cucina condominiale, c'è già aria di festa, oltre che di primavera!
Nei prossimi post ci ritroveremo ancora con qualche ricetta in tema pasquale e con una piccola idea per abbellire la tavola! ;-)
A presto!
Maria Teresa

Siate lieti, sempre! 

La focaccia aromatica della Regina!

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Dispieghiamo il tappeto rosso, insediamo la poltrona d'oro e lucidiamo la corona di diamanti! 

♭ ♪Squillino le trombe e rullino i tamburi!♭ ♪

Oggi abbiamo l'onore di ospitare nella cucina condominiale Regina, un'affezionata lettrice che ha già un posto d'onore nella vetrina dedicata a chi replica i nostri piatti nelle proprie cucine.
Quando aprimmo il blog, nelle nostre intenzioni c'era anche quella di ospitare amici/amiche lettori che, pur non avendo un blog proprio, volessero una tantum pubblicare qualcosa.
Ecco, finalmente ce l'abbiamo fatta! E l'onore è tutto nostro!
Regina, così come un'altra lettrice (CriCri, che salutiamo e ringraziamo ;-), quando replica una nostra ricetta, ci scrive spassosissime mail che ci fanno sorridere talmente di gusto che è sempre un grande piacere leggerla!
Le lasciamo subito la parola; quello che ha preparato per noi e che condivide su queste pagine, è davvero qualcosa di speciale! Grazie Regina, dal condominio tutto, per aver accettato il nostro invito!


Cari lettori del blog “Un condominio in cucina”,  mi presento: mi chiamo Regina, sono una lettrice accanita di questo blog e ogni tanto mando alle tre padrone di casa le foto (bruttarelle in realtà) di ciò che realizzo nella mia cucina con le loro meravigliose ricette (vedi paginetta dedicata). Queste tre pazzerelle, qualche settimana fa, hanno deciso di scrivermi per farmi una proposta indecente, che vi riporto paro paro con le loro parole.
Le condomine: “Allora, andiamo subito al dunque: noi svalvolate del condominio abbiamo pensato, in virtù delle tue numerevoli e graditissime repliche delle nostre ricette, di farti una proposta. Sei pronta?? 😁 Che ne dici di scrivere una ricetta, fare delle foto e pubblicarla nella cucina condominiale?? Sì, sì, hai capito bene! Un post tutto tuo in cui hai la libertà di scrivere e fotografare quello che vuoi. Un primo, un secondo, un dolce, un contorno, insomma quello che ti pare! :-)))))

Io quella notte, loro lo sanno, non ho dormito dall'agitazione, perché da una parte ero supermegacontentissima della loro supermegapropostissima (e quindi una parte di me voleva dire di sì), ma dall'altra avevo paurissima di non essere all'altezza di questo super mega fantastico blog (e quindi volevo dire di no).
Alla fine tra il sì e il no eccomi qua, ha vinto il sì!

Dopo attenta discussione con le condomine, abbiamo optato per questa ricetta di Iginio Massari tratta dal suo libro “Non solo zucchero vol. II”.
È una ricetta di cui mi sono innamorata appena ho sfogliato questo bellissimo libro, perché io adoro il cioccolato bianco. E quando l’ho fatta sono rimasta estasiata dal risultato: ciò che risulta alla fine non assomiglia né a un pandoro, né a un panettone, né a una colomba né a una veneziana… insomma è proprio qualcosa di diverso; l’impasto, ricchissimo di burro e tuorli, è una nuvola dopo cottura, non risulta troppo dolce ed è fondente al morso: i pezzetti di cioccolato bianco, una volta che il dolce è cotto, non si vedono più, è come se in cottura si sciogliessero e amalgamassero con il resto per creare quella che è un’esplosione di gusto di questa focaccia aromatica.

Io la faccio così come da ricetta (io non cambio mai niente delle ricette degli altri… non ce la faccio… beh poi in questo caso si tratta del Maestro Iginio Massari, come si fa a cambiare una sua ricetta?), però qualche divagazione me la sono permessa, ma solo nella farcitura: ho provato ad aggiungere anche mirtilli rossi essiccati e fatti rinvenire in succo di mirtillo, oppure cioccolato al latte e noci pecan, oppure la pasta di pistacchio condominiale, e devo dire che sono state tutte aggiunte vincenti!
Ecco ora la ricetta: nel libro le quantità sono davvero industriali (18 kg!!!), io le ho divise in modo da ottenere le quantità per una focaccia da un chilo oppure due da mezzo chilo.




Focaccia aromatica di Iginio Massari

RICETTA



Primo impasto(per una focaccia da un chilo o due da 500 g) 

100 g di lievito madre (dopo tre rinfreschi)
270 g di farina W 380
113 g di acqua
133 g di tuorli
117 g di zucchero
133 g di burro bavarese



Come per tutti i grandi lievitati, il giorno del primo impasto rinfrescare almeno tre volte consecutive il lievito madre, ogni 3-4 ore, facendo attenzione che ogni volta triplichi del suo volume.
✔ Con la foglia sciogliere nell’impastatrice il lievito madre bello arzillo (foto 1 del primo collage sotto) nell’acqua leggermente intiepidita (20-22°C).
✔ Aggiungere tanta farina in modo che l’impasto si avvolga alla foglia (lasciarne da parte circa sei cucchiai).
✔ Lentamente aggiungere metà del tuorlo e subito dopo metà dello zucchero; quindi aggiungere due cucchiai di farina; lavorare l’impasto in modo che non perda mai l’incordatura, ribaltandolo ogni tanto con il tarocco.
✔ Quando tutti gli ingredienti sono stati incorporati aggiungere la metà rimanente dei tuorli con lo zucchero e altri due cucchiai di farina; impastare per bene in modo che l’impasto si ben incordato e aggrappato alla foglia (foto 2 primo collage).
✔ Quindi aggiungere poco alla volta il burro (foto 3), precedentemente spatolato a temperatura ambiente in modo da renderlo plastico ma non troppo morbido, a piccoli pezzi; ogni tanto aiutare l’impastatrice usando un po’ della farina rimasta e ribaltare l’impasto con il tarocco. L’impasto risulterà lucido, morbido ma sostenuto e dovrà fare il velo; l’impasto profumerà tantissimo di burro e tuorli, una meraviglia. Cambiare la foglia con il gancio e dare qualche giro per serrare l’incordatura.
✔ Mettere a questo punto l’impasto in un contenitore graduato (anche con graduatura – ho controllato: questa parola non esiste, l’ho coniata io adesso ah ah- home made - vedi foto 4) e mettere a lievitare al caldo (28°C per chi può controllare la temperatura: io posso! Ah ah! Ho una celletta con temperatura controllata sempre home made; altrimenti nel forno con la sola lucetta accesa) fino a che l’impasto sia triplicato (foto 5); a me questa volta ci ha messo esattamente 13 ore e mezza; se l’impasto non sta al caldo non lievita o comunque lievita moooooooooooolto lentamente.


Secondo impasto

83 g di farina W 380
30 g di zucchero
33 g di tuorli
  8 g di sale
33 g di burro
1 cucchiaino di essenza di vaniglia
133 g di cioccolato bianco

Per la finitura
Uovo
Zucchero semolato




✔ Con la foglia (con il gancio ci ho provato ma io non sono riuscita a riprendere l’impasto: ci ho provato più volte) far riprendere l’incordatura alla massa con qualche cucchiaio di farina.
✔ Quindi procedere come per il primo impasto, aggiungendo lentamente metà dei tuorli insieme a metà dello zucchero e una spolverata di farina (ricordarsi anche in questo caso di ribaltare l’impasto con il tarocco ogni tanto); quando gli ingredienti sono stati assorbiti (facendo rimanere in corda l’impasto), aggiungere i rimanenti tuorli con lo zucchero e a questo punto anche il sale e un po’ di farina (non terminarla tutta, ma lasciarne una parte per aiutare l’impastatrice durante l’immissione -si dice così???- del burro).
✔ Spatolare il burro per renderlo plastico e aggiungerlo a piccoli pezzi in due volte all’impasto spolverando ogni tanto con la farina rimanente e ribaltando l’impasto. Aggiungere quindi lentamente il cucchiaino di estratto di vaniglia. E anche in questo momento sentirete come il vostro impasto profumerà di buono!
✔ Quando tutti gli ingredienti sono stati ben incorporati e la prova del velo è ok (foto 6), aggiungere il cioccolato bianco precedentemente spezzettato (foto 7) all'impasto (foto 8) utilizzando a questo punto il gancio: aggiungere il cioccolato, avviare l’impastatrice a bassa velocità, farla andare fino a quando l’impasto si è tutto aggrappato al gancio; quindi fermare l’impastatrice, togliere l’impasto dal gancio aiutandosi con il tarocco e ribaltarlo; quindi riavviare l’impastatrice a bassa velocità; ripetere per una o due volte ancora in modo da distribuire per bene i pezzetti di cioccolato.
✔ Lasciar riposare (anche nell'impastatrice ) l’impasto per una mezz'oretta (a temperatura ambiente); quindi spezzare nelle pezzature desiderate tenendo conto di pesare un 10% di impasto in più rispetto alla capacità dei pirottini (una parte di acqua presente nell'impasto evaporerà in cottura).
✔ Pirlare per bene (foto 9) su un’asse di legno ben imburrata, come spiegato benissimo dalle condomine, per due volte, con una pausa di una mezz'oretta tra una pirlatura e l’altra senza coprire.
✔ Mettere nei pirottini (foto 1 del secondo collage - i pirottini sono quelli per il panettone basso) e mettere a lievitare al caldino (ricoperti da pellicola alimentare) fino a che l’impasto sia arrivato a un dito dal bordo ai bordi mentre sia a livello del bordo al centro dell’impasto (foto 2): qui c’è da aspettare e tanto, soprattutto se non si riesce ad avere una temperatura di lievitazione di 28°C; io ho aspettato quasi 20 ore tenendo i pirottini a temperatura ambiente.
✔ Sbattere leggermente un uovo intero e spennellarlo delicatamente sulla superficie; quindi spolverare di zucchero semolato.
✔ Cuocere in forno già caldo a 160°C per circa 50 minuti; lo sviluppo della cupola è stratosferico (foto 3 del secondo collage: impasto appena messo nel forno; foto 4: impasto dopo 15 minuti nel forno; foto 5: dopo mezz'ora nel forno), quindi ricordarsi di posizionare bene la teglia in modo che la vostra focaccia abbia tutto lo spazio per crescere.
✔ Dopo circa 45 minuti posizionare la sonda nella pancia della focaccia e sfornare quando sarà arrivata a 95°C; infilzare con gli spiedini e mettere a raffreddare a testa in giù.
✔ Dopo circa 12 ore togliere gli spiedini e impacchettare negli appositi sacchetti per alimenti; attendere, come per tutti i lievitati con lievito madre, almeno 5-6 giorni prima di tagliare e mangiare!

Tempi di lavorazioneindicativi
Giovedì sera ore 21.00: bagnetto e rinfresco del lievito
Venerdì mattina ore 8.30: primo rinfresco
Venerdì pranzo ore 13.00: secondo rinfresco
Venerdì metà pomeriggio ore 17.30: terzo rinfresco
Venerdì sera ore 21.00: primo impasto.
inizio lievitazione ore 22.00.
Sabato mattina ore 11.30: secondo impasto.
Sabato pranzo ore 12.30: puntatura.
Sabato pranzo ore 13.00: prima pirlatura.
Sabato pranzo ore 13.30: seconda pirlatura e posizionamento nei pirottini a temperatura ambiente.
Domenica mattina ore 08.00: cottura.
Domenica mattina ore 09.00: sfornatura, infilzamento e raffreddamento a testa in giù.

Fasi cottura - clicca per ingrandire
Fasi preparazione - clicca per ingrandire

Qualcosina in più…

 IL  BAGNETTO DEL LIEVITO MADRE
 Io il lievito madre lo uso molto poco… ovvero lo uso principalmente per fare le campagne natalizie di panettoni e pandori e le campagne pasquali di colombe e veneziane; poi durante l’anno faccio qualche esperimento, ma a me ‘sti lievitati così complessi mi uccidono!
Non so come fate voi, ma il fatto di avere così poco controllo sui tempi di lievitazione usando il solo lievito madre fa sì che il fine settimana in cui mi dedico a produrre grandi lievitati praticamente non dormo: solitamente il primo impasto si fa la sera e dopo circa 12 ore (quindi la mattina successiva) dovrebbe essere triplicato… ma qualche volta le ore sono 8, qualche volta 10, altre 14… così, preoccupata che l’impasto esca dal contenitore graduato perché io me ne sto bellamente dormendo, in realtà non dormo, ma aspetto la lievitazione rigirandomi nel letto e ogni ora-due andando a controllare il livello dello sciagurato… stessa cosa per il secondo, che quasi mai riesco a cuocere nello stesso giorno in cui lo formo, ma moooooolto spesso mi capita di dovermi alzare alle tre di notte e accendere il forno perché l’impasto ha raggiunto il livello proprio in quel momento.
Dopo un fine settimana così sono rinco per dieci giorni quindi preferisco diradare i mie incontri del terzo tipo con il mio lievito.
Tutto ‘sto panegirico per dire che, usandolo poco, il mio lievito riceve nuovo sostentamento (cioè il rinfresco) solamente ogni 5-6 giorni, quindi non è assolutamente pronto e vispo per dei lievitati come questa focaccia: ciò che quindi faccio è che, qualche giorno prima del fine settimana X, lo rinfresco come al solito, ne lascio a temperatura ambiente un pezzettino, che poi rinfresco una o due volte al giorno (secondo necessità) per due tre giorni prima del fine settimana X; poi il giorno prima del giorno dei 3 rinfreschi consecutivi, prima di fare il rinfresco serale, io gli faccio il bagnetto per energizzarlo un po’: lo peso, lo taglio a fette spesse circa un cm, lo metto a bagno in soluzione zuccherina 5x1000 in acqua tiepida (25°C) per 15’, lo strizzo, lo ripeso (calcolando quanta acqua ha assorbito), peso la metà del peso del lievito di acqua (tenendo conto dell’acqua assorbita) e, dopo averlo sciolto nell’acqua, aggiungo lo stesso peso di farina, impasto, arrotondo, taglio a croce e metto a lievitare a temperatura ambiente fino alla mattina dopo.

➢ IMPASTATRICE 
Come si vede dalle foto di questo post, in questo caso non ho usato l’impastatrice con la K come prima lettera, ma un’impastatrice a braccia tuffanti, che ho la grande fortuna di avere, grazie alla mia mezza mela che lo scorso Natale se l’è regalata e che la fa usare anche a me (e qui non posso che mettere un ringraziamento alla mia mezza mela!!! Grazie mezza mela!!!!).
Con l’impastatrice a braccia tuffanti è tutto molto più facile (anche se in realtà anche in questo caso è bene seguire l’impasto prima di aggiungere i vari ingredienti), però ad esempio non è necessario aggiungere il burro pezzetto a pezzetto facendo attenzione a che sia tutto assorbito prima di aggiungerne altro, ma si può buttarne la metà tutta in una volta  e senza che sia spatolato; voglio comunque rassicurare i lettori che questa focaccia l’ho fatta più e più volte con l’impastatrice con la K e quindi si può fare (purtroppo non avevo mai pensato di fare foto…e chi andava a pensare che qualche pazzerella mi avrebbe scritto chiedendomi di pubblicare sul blog?? Lo scorso fine settimana l’ho quindi rifatta per poi fare la pubblicazione e anche perché ne avevo alcune da preparare per regalarle per Pasqua; e così ho usato l’impastatrice a braccia tuffanti che ha il grosso vantaggio di impastare fino a 5 kg di impasto!!!).
È questo un impasto particolarmente ricco di tuorli e di burro, quindi molto grasso, ma con pazienza e perseveranza l’impasto rimane incordato anche con l’impastatrice con la K!!!!

➢ FARINA
Secondo il mio modesto parere, quando ci si mette a fare questo tipo di preparazioni bisogna essere muniti di farina speciale per grandi lievitati; si è vero costano, si è vero non si trovano dappertutto, ma la tenuta che ha una farina “tecnica” sia in fase di lavorazione, che in fase di cottura e anche i profumi che essa ha non hanno paragoni. Io ne ho provate parecchie, quella che secondo me ha dato una svolta di qualità ai prodotti è stata la farina Panettone Z di Mulino DallaGiovanna (sottolineo che non ho nessun interesse commerciale a fare questo nome, ma è qualcosa che scrivo perché l’ho provato di persona).

➢ BURRO
Anche in questo caso, come per altri lievitati presenti qui nel condominio, il burro è importantissimo e quindi migliore sarà la qualità migliore poi sarà la focaccia; anche in questo caso, dopo averne provati tanti, ora posso dire che userò burro Corman tutta la vita: è un burro per professionisti, che la mia mezza mela è riuscito a trovare in vendita anche per i non professionisti: il grosso problema è che bisogna comprarne 10 kg alla volta ed è più costoso dei burri bavaresi che si trovano al super… però però, il profumo che ha ed il suo sapore sono ineguagliabili.



Cosa dice il Maestro Iginio Massari, detto da me Igi:

 Dice Igi nell'introduzione a questo lievitato: “Dolce lievitato di concezione intelligente nell'utilizzo del cioccolato bianco che dà fragranza e gusti aromatici gradevoli, oltre ad una notevole conservabilità”.

 Preparando questo post, sono ritornata a rileggere bene tutta la ricetta così come descritta nel libro: beh mi sono accorta che solo in questa ricetta (e in “Non solo zucchero vol. II” di ricette di lievitati ce ne sono parecchie, tra vari tipi di pandori, panettoni, brioche) Igi dice specificamente di partire al mattino con il bagnetto del lievito madre, con una soluzione zuccherina fatta con 2 g di zucchero ogni litro di acqua a 20°C per 20 minuti e poi di proseguire con i solite tre rinfreschi consecutivi  (1:1 peso/peso lievito farina e metà acqua)… che sia necessario secondo lui solo per questa preparazione? Mah?! Purtroppo non ho mai avuto occasione di chiederglielo!

✪ Nei libri diciamo più “tecnici” che mi sono capitati tra le mani, l’inserimento degli ingredienti è sempre molto diverso da quello che ad esempio io avevo imparato andando ad un corso organizzato dai mitici Adriano e Paoletta, che l’avevano proprio messo a punto per l’impastatrice con la K.
Penso perché le impastatrici che usano i grandi pasticceri gestiscono l’impasto in modo diverso (e te credo!! devono mescolare quantitativi industriali!!!); quello che però mi sono sempre chiesta è se a seconda di come gli ingredienti vengono inseriti nell'impasto questo poi risulterà diverso dopo cottura: ad esempio Igi comincia mescolando farina, lievito, acqua e zucchero, fa formare l’impasto e poi aggiunge il burro e dopo il burro mette il tuorlo; Di Carlo nel suo libro “Tradizione in Evoluzione” nelle ricette dei suoi lievitati, mescola invece prima tuorli, zucchero e metà acqua, poi aggiunge farina e lievito madre, infine il burro e l’altra metà dell’acqua.
Io e la mia mezza mela ci siamo riproposti (un giorno…) di fare una prova comparata partendo dallo stesso lievito e con gli stessi ingredienti, ma facendo due impasti in cui l’ordine di impastamento degli ingredienti sarà diverso, così da capire se ci sono delle differenze nel prodotto finale (due pazzi penso che qualcuno penserà, ma due pazzi simpatici).

 Quando Igi parla della formatura della focaccia, dice di arrotolare per bene l’impasto e di farlo riposare 1h a 28°C; poi secondo lui, bisogna schiacciare la pasta con le mani delicatamente dando una forma tonda alta circa 2cm e riporla a lievitare a 28°C; io ‘sta cosa di schiacciare l’impasto dopo la pirlatura non ho mai avuto il coraggio di farla, non vorrei rovinare il tutto!

 Infine, Igi dice: “Ultimata la cottura versare sulla focaccia burro anidro sciolto aromatizzato, frutti di bosco di New Food essiccati”. A parte che io non so cosa sia New Food, anche questa cosa io non l’ho mai fatta… magari la focaccia risulta ancora migliore se qualcuno vuol provare.
Inoltre Igi sottolinea che, grazie al cioccolato bianco, il dolce si conserva 30 giorni.

Bene, il mio papiro è finito, spero di non essermi dilungata troppo.
Ringrazio tantissimo le fantastiche sociesse per questa bellissima opportunità e spero tanto che questo post piaccia ai lettori di “Un condominio in cucina”.
Baci a tutti!

Regina


Lu fiadon'(e) abruzzese.

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Ho la fortuna di vivere in una grande famiglia, in cui le provenienze geografiche si intrecciano da nord a sud! E vivere in una grande famiglia, fra i tanti vantaggi, significa anche scoprire tradizioni culinarie diverse da quelle a cui sono abituata.
Oggi siamo in Abruzzo e vi parlo de "lu fiadon'(e)" (amo i dialetti e mi piace da matti imparare a pronunciare le parole, con la giusta cadenza).
Uno scrigno di sfoglia che racchiude un ripieno di uova e formaggi; risultato? Una bontà pazzesca!
Il fiadone viene portato sulle tavole abruzzesi per la colazione di Pasqua e, in caso di avanzi, messo nel cestino da pic nic per il giorno di pasquetta o per le scampagnate.
Di semplicissima realizzazione, si presta per essere realizzato in breve tempo e sarebbe davvero un peccato non provarlo, almeno una volta! ;-)

Per onorare la bellissima terra d'Abruzzo, e rendere la ricetta il più fedele possibile alla tradizione, ho usato la farina di rosciola, un grano tenero antico, coltivato nel territorio aquilano e chietino, che è particolarmente indicata per la panificazione, la preparazione di pasta fresca, dolci e biscotti.
Vi lascio allora questa proposta per arricchire la vostra tavola di Pasqua, il cestino da pic nic oppure per un dono fatto con le nostre mani da regalare a chi ci sta più a cuore!


RICETTA (per circa 50 fiadoni)

Per la pasta:
500 g di farina di rosciola (in alternativa una 0 macinata a pietra)
60 g di olio d’oliva
60 g di vino bianco
2 uova taglia xl
6 grammi di sale

Per il ripieno:
200 g di ricotta di pecora ben scolata
150 g di parmigiano grattugiato
150 g di rigatino grattugiato (oppure del pecorino o altro parmigiano)
4 uova medie
un pizzico di noce moscata
un pizzico di lievito istantaneo per torte salate
un cucchiaino abbondante di pepe macinato al momento

Per la finitura:
un uovo piccolo

(clicca per ingrandire)
Setacciare la farina su un piano di lavoro e formare al centro un cratere in cui versare le uova, l'olio ed il vino; emulsionare i liquidi con una forchetta e far assorbire mano mano parte della farina fino a quando il composto non inizia ad indurire.
Affondare le mani ed impastare fino ad ottenere un impasto malleabile ed allo stesso tempo ben sodo.
Coprire con della pellicola o con una ciotola ribaltata e lasciare che l'impasto riposi per una ventina di minuti. Nel frattempo preparare il ripieno lavorando semplicemente i relativi ingredienti con una forchetta;.
Prendere l'impasto e dividerlo in quattro parti; stenderli con la macchina per fare la pasta ottenendo delle sfoglie piuttosto sottili (terzultimo buco). Mettere al centro della striscia un cucchiaino colmo di ripieno, inumidire i bordi con un pennello bagnato e tagliare la pasta nello stesso modo in cui si fanno i ravioli.
Pennellare la superficie con un uovo sbattuto e praticare un taglietto con le forbici (che serve per far dare la caratteristica forma e far uscire l'eventuale liquido prodotto dalla ricotta).
Infornare a 180° per 20 min. circa fino a quando non risulteranno ben dorati.
Appena cotti, lasciare raffreddare su una gratella; stavolta non c'è da aspettare, assaggiatene subito uno (ho detto uno!) appena intiepidito e... tornate a raccontarmi!!! ;-)


Ah, nel caso avanzassero, (non si conoscono ancora episodi ralmente accaduti nella storia) i fiadoni possono essere congelati e tirati fuori un'oretta prima del consumo. Volendo, metterli in forno a 180° per circa 10 minuti con la funzione ventilata; la sfoglia intorno tornerà croccantina ed il ripieno scioglievole. Sembreranno come appena fatti! :-)))

CURIOSITA' 

Il fiadone è una specialità della cucina dell’Abruzzo, che le famiglie del posto si scambiano come dono durante la settimana Santa, per poi mangiarlo a Pasqua ed il Lunedì in Albis.
Diffusissimo nell’intera regione, in questo periodo dell’anno fa la sua comparsa nei forni e nelle gastronomie sparsi tra Teramo, Pescara, Chieti, L’Aquila e gli incantevoli borghi abruzzesi.
È una ricetta nobile, citata per la prima volta nel "Libro novo nel qual s’insegna a far d’ogni sorte di vivande" (1557) di Cristofaro da Messisbugo, cuoco alla corte degli Estensi di Ferrara, che arrivò in Abruzzo per necessità e finì per scomparire nella sua città natale.
Nella preparazione indicata dallo scalco, il maggiordomo del Rinascimento, infatti, era richiesto l’uso dello zafferano, una spezia che già all’epoca era radicata nella cultura aquilana.

Nelle località costiere abruzzesi questa pietanza ha la forma di una torta o di grossi ravioli ed è protagonista della colazione salata della domenica di Pasqua, una consuetudine tipica del Centro Italia, o della scampagnata di Pasquetta, insieme alle uova sode, alla lonza, alla soppressata e al salame di Fabriano.
Nei comuni dell’entroterra abruzzese, invece, troviamo il Fiadone dolce, chiamato anche “soffione di ricotta” e servito in chiusura del pranzo pasquale: l’impasto è simile alla versione salata (ma con lo zucchero al posto del vino) e la farcitura, delicatissima, è composta da ricotta fresca, zucchero, buccia di limone grattugiata e uova.
A Gessopalena, in provincia di Chieti, esiste infine una particolare variante fatta con il canestrato di pecora del Gran Sasso, un eccellente formaggio tutelato dal Presidio Slow Food, che in questa ricetta viene impiegato fresco, prima delle fasi di salatura e stagionatura che lo rendono più piccante.
Le varie ricette, insomma, condividono soltanto il nome, che secondo il linguista Alfredo Panzini deriverebbe dal termine tardo latino flado, a sua volta mutuato dal germanico fladen, “cosa gonfia”, alludendo alla forma e alla consistenza del Fiadone.
Prima di essere regalati ad amici e parenti, i fiadoni vengono decorati con foglie di ulivo, simbolo di pace.



Con questa ricetta pasquale vi giungano gli auguri condominiali 
(in versione tripla carpiata e pure con avvitamento) per una serena Pasqua! :-))))))

Emmettì, Silvia e Tam.




Pangoccioli con pasta madre, ma anche no!

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La scorsa settimana, mentre cercavo di mettere un po' di ordine tra le foto nell'archivio del pc, mi sono imbattuta in questi pangoccioli che feci tanto tempo fa, e mi son ricordata subito di quanto fossero stati incredibilmente buoni.
Caspita! Ma perché ho atteso tutto questo tempo per rifarli??
Visto che avevo degli ottimi complici per questa ricetta (esuberi di pasta madre ed avanzi di uova di cioccolato fondente) il giorno dopo ho messo le mani in pasta, con la certezza di ottenere nuovamente un risultato strepitoso. Ma d'altra parte non potevo avere dubbi visto che la ricettaè della nostra amica, fatina dei lievitati, Terry! Ed è a lei che dedico questi paninetti così soffici e profumati!
Ideali per la colazione e per iniziare la giornata con una marcia in più!
Comodissimi da tenere in freezer per mantenere tutta la loro fragranza! Basterà tirarli fuori alla sera per trovarli pronti al mattino; il profumo e la sofficità vi conquisteranno, ne sono certa!

Alla ricetta ho apportato qualche piccola modifica: ho ridotto la quantità di farina manitoba a favore della zero per aumentarne la sofficità; ho messo un uovo intero anziché due tuorli per far sì che l'impasto tendesse più ad un pane che ad una brioche, ed infine ho ridotto lo zucchero, con la certezza che la presenza del cioccolato avrebbe compensato e riequilibrato tutti i sapori.
Obiettivo raggiunto!!! :-)))
E voi? Avete esuberi di cioccolato che non sapete come smaltire? Nel caso lo abbiate già mangiato tutto. vi invito ad andare a comperarne ancora e a provare questi pangoccioli.
Ecco la ricetta, insieme ad un grande grazie alla Terry per averla squisitamente condivisa!


INGREDIENTI

350 g di farina 0
150 g di farina manitoba
300 g di latte tiepido
  80 g di zucchero
  50 g di pasta madre* (vanno bene anche gli esuberi)
  70 g  di burro morbido
1 uovo
1 cucchiaino di miele
1 cucchiaino di estratto di vaniglia (o la polpa di 1/4 di bacca)
150 g di cioccolato fondente tagliato a piccoli tocchetti
latte per spennellare

* oppure 100 g di lievito in coltura liquida (in questo caso diminuire il latte a 270 grammi); oppure 5 g di lievito di birra (ed aggiungere 30 g di farina e 15 di latte)

(clicca per ingrandire)
In una ciotola sciogliere la pasta madre (o il lievito liquido o quello di birra) nel latte tiepido insieme al miele e all'estratto di vaniglia; emulsionare l'uovo con lo zucchero in una tazza e riservare.
Setacciare la farina e versarla tutta in una volta sul latte; mescolare grossolanamente con una frusta e versare anche l'emulsione di zucchero e uova. Dare un'altra mescolata veloce e lasciar riposare il composto per una trentina di minuti (l'impasto si presenterà molto grezzo e sgretolato).
Trascorso questo tempo, rovesciare la massa su un piano di lavoro (io di marmo) e lavorare fino a che risulti bella morbida, liscia e compatta. Incorporare il burro a piccoli fiocchi con la tecnica dello slap&fold (guardare bene il movimento al minuto 1:53) e fare la fatidica prova velo per verificare che l'impasto sia ben incordato (foto n. 6 del collage qui a lato).
A questo punto allargare l'impasto, sempre sul piano di lavoro, e far cadere i pezzetti di cioccolato in modo sparso incorporandoli come da sequenza fotografica nel passo passo.
Avvolgere l'impasto formando una palla e metterlo a lievitare in una ciotola, coperto con pellicola, fino a che non raddoppi il suo volume.
A raddoppio avvenuto capovolgere l'impasto e porzionarlo a seconda della grandezza dei pangoccioli che vogliamo ottenere (io 60 grammi) e formare delle palline arrotondandole un paio di volte a distanza di 10 minuti; vedrete come alla seconda pirlatura otterrete delle sfere tonde come palle da bowling! ;-)
Disporre i pangoccioli su una teglia ricoperta di carta forno, coprire con pellicola ed attendere novamente il raddoppio (con il lievito madre ci vorranno 3-4 ore a temperatura ambiente; meno se mettiamo la teglia al calduccio).
Una volta raggiunto il raddoppio, accendere il forno a 180°, pennellare i pangoccioli con del latte ed infornare per 15-20 minuti (non di più per una grandezza di 60 grammi, altrimenti asciugheranno troppo).
Sfornare e lasciare raffreddare su una gratella, dopo di che... affondare un morso! :-))))))))))))))))



Questi pangoccioli volano dritti dritti nella cucina di Sandra, che meravigliosamente, in questo mese, accoglie tutti i lievitati vagabondi! :-))))))))

E a voi, cari lettori, l'augurio di un fine settimana pieno di sole. Dentro e fuori di voi!
Emmettì. 

Olive ascolane: lo street food marchigiano

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Pensavate che la cucina condominiale fosse chiusa per ferie eh??? :-))))))))
Ma quando mai! Pentole, pentolini, fruste e mattarelli son sempre all'opera  ma scarseggia il tempo per stare un attimo tranquilli davanti al pc per poter scrivere e condividere!

Di che parliamo oggi?
Beh, mettetevi pure comodi! La ricetta che segue è una di quelle che più mi sta a cuore, non tanto per la sua bontà quanto perché fa parte delle ricette di famiglia, di quelle che si preparavano tutti insieme seduti intorno al tavolo.
Ed ecco che riaffiorano i ricordi di quando ero piccola.
I nonni paterni, arrivati in territorio pontino negli anni 50, si son portati dietro oltre che il bellissimo dialetto (che tutti noi nipoti abbiamo imparato a parlare) anche le ricette della cucina marchigiana. 
Poteva mai mancare quella delle olive ascolane? Certo che no!
Ecco, il ricordo che ho è il seguente: un piccolo (ma piccolo eh?) tavolo in cucina dove, non so come, seduti intorno riuscivano a stare 6 adulti che con gesti precisi, che a me sembravano addirittura ritmici, denocciolavano le olive, le farcivano e le panavano per poi passarle all'addetta alla frittura.
Ecco, la zia addetta alla frittura era contornata da un pipinìo di pulcini bambini che non vedevano l'ora di ricevere tra le mani un cartoccetto pieno di quelle palline fumanti!!!
Quei tempi sono andati! Ma io ne conservo il ricordo come fosse ieri!
Stavolta intorno al tavolo a preparare le olive c'eravamo solo io, mia mamma e mia sorella ma è stato un po' come ritrovare tutta la ciurma caciarona che almeno due volte l'anno compiva il rito di preparare le olive ascolane! :-DDD

La ricetta? Eccola qua! Una raccomandazione: non tralasciare la buccia del limone; metterla o no fa la differenza! Sentirete che profumino! ;-)
Ah! Non fatevi spaventare dalle quantità! Sarà comodo tenerne una scorta in freezer pronta per un aperitivo o una cena dell'ultimo momento in cui vorrete servire una bontà pazzesca. 
Basterà scaldare un pentolino di olio, prelevare le olive dal freezer, friggere e servire! :-))


RICETTA (per circa 200 olive)

200 olive denocciolate giganti in salamoia (possibilmente varietà ascolana tenera)
200 g di macinato di manzo
200 g di macinato di maiale
100 g di macinato di carne bianca (pollo o tacchino) 
100 g di parmigiano grattugiato
3 uova
1 pizzico di sale
1 ciuffo di prezzemolo tritato
1/4 di buccia di limone grattugiata
la punta di un cucchiaino di noce moscata
q.b. di pepe macinato al momento
Per la panatura
farina
uova
pane grattugiato
Per la frittura
olio extravergine di oliva
oppure
olio di girasole alto oleico
oppure
olio di arachide

Scolare le olive dalla salamoia e lasciarle in acqua per circa un'oretta affinché perdano un po' di sapidità.
Sbattere le uova, unire il parmigiano, il sale, le spezie e la carne mescolando bene (anche con le mani) fino ad ottenere un composto omogeneo.
Scolare le olive dall'acqua e rotolarle su un telo pulito (possibilmente privo di odori di detersivo) in modo da asciugarle un pochino; praticare un taglio longitudinale e farcire con la carne, facendo attenzione a che l'oliva sia ben ripiena.
Procedere con la panatura attraverso due fasi: far rotolare l'oliva prima nella farina, poi nell'uovo sbattuto ed infine nel pane grattugiato; una volta terminate tutte le olive, ripetere il passaggio nell'uovo e nel pane grattugiato.
In questo modo la panatura sarà perfetta e croccantissima, ma soprattutto impedirà all'oliva di aprirsi durante la frittura.
Mentre si fa il secondo passaggio nel pane grattugiato, roteare le olive nel palmo della mano ridonando la forma caratteristica qualora con il ripieno si siano un po' deformate.
Disporre le olive su un vassoio mano a mano che si formano e lasciarle riposare per una mezz'ora prima di procedere con la frittura o con il congelamento.
In un pentolino dai bordi piuttosto alti, scaldare l'olio scelto per la frittura e, raggiunta la temperatura, far cuocere le olive fino a che non diventino ben dorate.
Scolarle su carta assorbente e resistere alla tentazione di assaggiarle subito: scottano!!!!
Io mi son pelata la lingua due volte! :-DDDD



CURIOSITÀ
L’oliva ascolana nasce nella provincia di Ascoli Piceno nel lontano 1800, molto probabilmente dall'arte di un abile e sconosciuto cuoco che prestava servizio in una nobile famiglia del territorio.
Da allora rappresenta un capo saldo della cucina picena, un piatto immancabile nelle tavole bandite a festa, oggi stimato in tutto il mondo.
Per preparare le ottime olive ascolane servono olive tenere e carnose e di grandi dimensioni (la Liva Concia), che vengono farcite con un impasto di carni fresche, poi panate e fritte.
Queste delizie si possono trovare ad Ascoli in ogni angolo della città: dai negozi ai chioschetti (da friggere e già fritte) da gustare, calde, mentre si passeggia.
Le olive si consumano come aperitivo, antipasto, contorno, merenda e possibilmente calde perché sprigionano il massimo della loro bontà.
Insomma, ogni momento della giornata è buono per gustare una bella oliva ascolana!

MA COS'È LO STREET FOOD?
Letteralmente, cibo da strada.
Il cibo da strada, secondo la definizione della FAO, è costituito da quegli alimenti, incluse le bevande, già pronti per il consumo, che sono venduti (e spesso anche preparati) soprattutto in strada o in altri luoghi pubblici, come mercatini o fiere, anche da commercianti ambulanti, spesso su un banchetto provvisorio, o su furgoni e carretti ambulanti.
Nei centri storici di alcune città italiane si è diffusa una tipologia di piccoli locali specializzati nella preparazione e vendita di cibi da mangiare in strada.
Il consumo di questo tipo di cibo consente, in genere, di mangiare in maniera più informale, più rapida, e meno costosa rispetto al consumo di cibo in un ristorante o in altro luogo deputato allo scopo; per tale motivo, questa forma di alimentazione viene spesso preferita rispetto a modalità più formali di consumo, tanto da farle occupare un posto importante nell'alimentazione umana.
Stime della FAO indicano in ben 2,5 miliardi di persone al giorno il numero di coloro i quali si alimentano in questo modo. 
Il cibo da strada fa parte del più ampio fenomeno del cibo informale (informal food sector), un settore che, nei paesi in via di sviluppo, rappresenta una delle strategie adottate per provvedere ai propri bisogni alimentari.
Il cibo di strada è strettamente legato al fenomeno del cibo da asporto (take away/take-out), e ad altri fenomeni di consumo informale di cibo, come gli snack, gli spuntini, il fast food, il pranzo al sacco. L'ampiezza del fenomeno alimentare, messa in risalto dalle statistiche FAO, si collega ad altri aspetti antropologici, come il rilevante ruolo occupato nell'economia umana, ma anche la messa in gioco di importanti valori culturali, identitari ed etnici.
Spesso, infatti, i prodotti da consumare per strada sono specialità locali o regionali, come nel caso del pani ca meusa palermitano, il 'o pere e 'o musso della cucina campana e napoletana, oil kalakukkodella regione dei laghi finlandese.
In altri casi, invece, i prodotti non hanno un particolare legame culturale con il territorio in cui vengono offerti, o, pur avendone posseduto uno in passato, non lo conservano più, perché andato oramai perduto a seguito della loro diffusione al di fuori delle zone di origine (come è il caso della pizza e del kebab).


Vi avevo detto di mettevi comodi no?? :-))
Dai, che scherzo! Sono arrivata ai saluti.
Oggi vi lascio con una filastrocca in dialetto marchigiano; una delle tante che papà mi ha insegnato quando ero piccola. Non ricordo esattamente il significato di alcune frasi mentre ricordo benissimo che mi faceva tanto ridere quando mi parlava in dialetto!! ♥
Oggi voglio sorridere ancora!

Cerna cerna la coma' 
che dima' facimo lo pa'
e lo pa' co' le pizzole
vuttale vuttale jo de fori, 
jo de fori ce stadìa Michè
che facìa lu caffè
lu caffè co' lo mistrà
vuttalo vuttalo jo à Marà.
E Marà nun ci statìa
era gghitu in signoria
do' ce statìa tre vecchiarelle
che facìa le frittelle
ja tirato mezzu mato'.
Lu mato' cascò nel fossu,
dentro lu fosso ce statìa lu lupo
e lu lupo era vecchio
e non se sapìa 'rfà lu lettu.

Buona settimana!
Maria Teresa

Dip di fagioli cannellini alle erbe aromatiche

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Ma non si finisce proprio proprio mai di imparare eh???
Ci mancavano le dip adesso!
Quando le ho sentite nominare per la prima volta ho esclamato "e cosa sono adesso le dip??"
Mentre la memoria cercava di ricordare (senza successo) il verbo to dip, le dita correvano veloci sulla tastiera invocando l'aiuto di san google.
"To dip": voce del verbo "intingere" che io traduco subito in "pucciare"!! Vado avanti nella ricerca e scopro che le dip non sono altro che delle salse in cui intingere (è più elegante no?) verdure, grissini, cracker e chips di vario genere, tipo tortillas e patatine.
Embè? Non potevano chiamarle semplicemente creme, salse, intingoli, puccini?
E no! Vuoi mettere quanto fa figo dire "stasera ti preparo una dip di carciofi?"
E allora che faccio?
Il nome mi aveva incuriosito, l'idea pure, quindi via di corsa in cucina a prepararne una!
Di dip ce ne sono un'infinità: alle verdure, ai formaggi, ai legumi, alle mille combinazioni tra loro, senza limiti di fantasia.
Indispensabili e tipiche dell'aperitivo ammmerican style, si prestano benissimo anche per risolvere un pranzo o una cena, soprattutto se preparate con anticipo e in diversi gusti.
Basterà una fetta di pane tostato, una generosa quantità di verdure, ed il pranzo o la cena saranno pronti! ;-)
Io ne ho scelta una di legumi, e l'ho fatta così:



Ingredienti:
500 g fagioli cannellini già cotti
40 ml olio extra vergine d’oliva
1 rametto di rosmarino
3-4 foglie di salvia
2 cucchiai di succo di limone
1 pizzico di sale marino fino
½ spicchio d’aglio
½ cucchiaino di origano secco
pepe nero macinato q.b.

Servire con:
fette di pane casareccio tostate
bastoncini di sedano e carote
pomodorini
chips di patate
grissini

Preparazione:
 - Tostare e far soffriggere salvia e rosmarino in un padellino insieme all'olio in modo da estrarne  il profumo al massimo.
-  Filtrare l’olio e metterlo in un mixer insieme ai fagioli, al succo di limone, all'aglio tritato ed il pizzico di sale.
- Far andare il mixer fino a che non si ottiene una purea morbida ed uniforme; trasferirla in una ciotola e condire con del pepe macinato fresco e l'origano.
 - Scaldare una griglia tostando il pane da entrambi i lati e servire le bruschette ancora calde insieme alla dip di cannellini.
- Dalle verdure ricavare invece dei bastoncini non troppo lunghi da poter intingere nella salsa.

Buon appetito! :-)))))


Quali verdure intingere in una salsa dip? 
Tutte le verdure buone da mangiare crude sono perfette per essere accompagnate da una dip, quali le carote, i gambi di sedano, i finocchi, i cetrioli, le zucchine e i ravanelli. Bisogna giusto tagliare queste verdure a bastoncino, in modo che sia pratico intingerle nella dip. Per beneficiare al massimo delle vitamine e degli enzimi contenuti in queste verdure crude, sarà necessario sceglierle secondo la loro stagione, in modo che siano davvero fresche e gustose.
Per tagliare le verdure a bastoncino, utilizzare un coltello molto affilato e tagliare dei bastoncini di verdura piuttosto corti in modo che sia facile tenerli in mano e soprattutto per non rischiare che i vostri invitati intingano di nuovo nella dip un bastoncino di verdura già morso.


Qualche consiglio per realizzare le salse dip.
Le dip si prestano a numerose varianti, secondo la vostra fantasia. Ma prima di realizzarle, è importante conoscere qualche regola di base.
Una volta frullati gli ingredienti, la salsa ottenuta non dev'essere troppo liquida, altrimenti cadrà dai bastoncini di verdura una volta intinti e macchierà la tovaglia (oltre che la vostra maglietta).
La dip deve quindi avere la consistenza di una crema piuttosto spessa;  bisogna però, allo stesso tempo, evitare che sia troppo densa, altrimenti risulterà pesante all'assaggio e sarà ugualmente difficile che tenga sui bastoncini di verdura.
Trovare quindi il giusto equilibrio dosando poco a poco gli ingredienti, in modo da arrivare progressivamente alla giusta consistenza ottenendo una dip leggera e cremosa.
Se alla base delle dip usiamo verdura cotta (come ad esempio melanzane o peperoni), fare attenzione a frullare bene per non lasciare dei pezzetti di verdura interi che saranno fastidiosi al palato.
Si dovrà ottenere un purè di verdura perfettamente liscio.
Per condire le dip, usare olio d'oliva, sale e pepe come pure altre spezie quali il curry, la curcuma o il cumino. Non dimenticare mai le erbe aromatiche fresche (quali prezzemolo o basilico tritati, salvia, rosmarino, origano, aneto o erba cipollina) che apporteranno sempre un tocco di freschezza alla preparazione.
Ora tocca a voi! Siete pronti per lanciarvi nella preparazione delle vostre dip? :-DD


A voi tutti, un sorriso condominiale e l'augurio di un felice weekend!  :-))))))))))
Emmettì


Filetti di merluzzo gratinati con pomodori secchi di Jamie Oliver e patatine novelle al vincotto di Francesco Manco: manco a dirlo, Essex&Salento nel piatto!

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Mi sono innamorata delle patate al vincotto che la Credenza porta in giro per l'Italia con il suo bancone su ruote, l'anno scorso, allo “Street Food Time”  il festival itinerante del cibo da strada di qualità, mangiate in piedi nel cono di carta, buonissime, saporite, uniche, finite in un fiat! 
E invece dei filetti di merluzzo mi sono innamorata spaparanzata sul divano, davanti alla tv che trasmetteva una delle ventordicimila trasmissioni culinarie, nello specifico "I miei menu in 30 minuti" di Jamie Oliver su Laeffe. Velocissimi da fare, ma soprattutto con ingredienti molto "salentini", i pomodori secchi, il pane casareccio, le erbe aromatiche e l'aceto balsamico che subito ho sostituito, nella mia mente culinaria, con il vincotto. 

Che ci azzeccano, insieme, Jamie Oliver, famoso chef britannico, e Francesco Manco, chef on the road di Salento street food? Niente, poco, pochissimo, però nel mio piatto stanno una meraviglia! Il pesce merluzzo di Jamie e le patate di Francesco hanno due cose in comune: il rosmarino e l'aceto balsamico, oltre all'assunto che i pesci si accoppino benissimo con le patate e le patate con i pesci... 
ma sorvoliamo su pesci e patate!

Concentriamoci sul piatto. 

Il merluzzo, pesce apprezzatissimo e molto comune sulle nostre tavole, uno dei pesci più pescati al mondo, è anche, diciamolo, un pesce troppo magro (in termini di calorie), e anche troppo delicato, in termini di gusto, ma non solo, pensate che viene considerato un vero e proprio gentlefish: durante l'accoppiamento, mentre altre specie saltano i preliminari e vanno diritte al sodo, i futuri stoccafissi, come Casanova dei mari, inclinano delicatamente il capo l'uno verso l'altro, in un tenero gesto d'affetto prima che la passione e il desiderio prendano il sopravvento... non ve lo aspettavate eh? (bah, un po' sì, dai, con quella faccia da merluzzo).

Ecco che, quindi, al naturale, lesso o al vapore, viene propinato, di solito, solo ai poveri neonati durante lo svezzamento, invece per noi adulti viene cucinato e conservato in modo da conferirgli quel carattere deciso di cui sono carenti in natura: 
fritto insieme alle patate, il famoso fish&chips, 
impanato, famosi i bastoncini e i fishburgers,
in padella, aromatizzato con pomodori o alla mugnaia,
al forno, di solito proprio con le patate.
Conservato sotto sale prende il nome di baccalà (da cui" sei proprio nu baccalà!" cioè imbranato, ingessato), 
essiccato diventa uno stoccafisso (da cui: "sei rigido come uno stoccafisso" e non è un complimento),

Ma torniamo alla nostra accoppiata!
Sulle patate in generale sorvolo e rimando alle curiosità e storie buffe sulla patata che la mia socia Emmettì ha raccontato approfonditamente nel suo bellissimo post sulle Torrette di patate.
Però vi dico che per questa ricetta ho usato le patate novelle DOP di Galatina, una eccellenza del nostro territorio, veramente gustose, saporite e perfette per essere cotte e mangiate con la buccia, come in questo caso. Ho scelto ovviamente delle patatine piccole, le vedete vicine al pomodoro ciliegino? Ecco, quelle! 

Su Jamie Oliver e Francesco Manco, invece, approfondisco nella sezione di pertinenza, ora andiamo a cucinare eh?


RICETTE

Comincio dalle patate, ché prevedono una cottura più lunga e, in ogni caso, possono prepararsi in anticipo, sempre che si preveda che avanzino, attenzione! Son peggio delle ciliegie, una tira l'altra!



PATATINE NOVELLE AL VINCOTTO di Francesco Manco

INGREDIENTI (quantità a sentimento):

Patatine novelle di Galatina DOP (oppure, se siete comuni mortali, patate novelle comuni)
Vincotto Primitivo balsamico (altrimenti, se siete comuni mortali, vincotto e aceto balsamico)
Olio extravergine salentino (in alternativa, se siete comuni mortali, olio extra vergine chevoletevoi)
Sale marino integrale di Trapani (ovvero, se siete... vabbè ci siamo capiti)
Pepe bianco dello Sri Lanka (Manco, me pare ca sta esageri, mo'!)
Curry (ecco, poi ci perdiamo sul Curry! ve lo dico io, che sia di ottima qualità! ricordiamoci che in indiano, il curry si chiama Masala)
Rosmarino fresco tritato sul momento (non dico nulla, sapete già).

Preparazione:
. Lavare le patatine delicatamente, senza eliminare la buccia.
Ancora bagnate versarle in una capiente ciotola, aggiungere abbondante olio, una spruzzata a sentimento di vincotto, il rosmarino, il sale, il pepe e il curry.
Mescolare bene per far amalgamare tutto e sciogliere le polveri.
Versarle con tutto il condimento in una padella capiente e cuocere su fuoco vivace fino a quando le patate siano morbide, circa mezz'ora.
.Versare le porzioni in un cono di carta e mangiarle dove si vuole, pure in mezzo alla strada.
.Quelle che avanzano (fatele avanzare!!) mangiatele come contorno dei filetti di Jamie, fredde, tiepide o calde, come preferite.






FILETTI DI MERLUZZO GRATINATI CON POMODORI SECCHI di  Jamie Oliver


 INGREDIENTI per 4 persone:

  1 kg di filetti di merluzzo fresco, diliscati, squamati e con la pelle (1)
200 g di pane casareccio raffermo (2)
  40 g di Parmigiano
140 g di pomodori secchi sott'olio d'oliva
    6  filetti di acciuga sott'olio d'oliva (3)
    1 cucchiaio di semi di finocchio
    2 spicchi di aglio (o aglio in polvere)
 1/2 limone bio
    1 manciata di basilico
    1 cucchiaio di vincotto balsamico (o aceto balsamico)
    4 rametti di rosmarino
q.b. di peperoncino fresco
q.b. di olio extra vergine d'oliva, sale, pepe.

(1) è meglio usare filetti con la pelle in modo che questa "tenga" le carni, così che si eviti che i filetti si rompano al momento di spostarli nei piatti.
(2) se integrale o di grano duro è meglio. Se non è raffermo, raffermarlo nel forno o in padella.
(3) Acciughe e alici sono la stessa cosa. Wiki docet.

Preparazione:

><(((°> Accendere il forno, funzione grill.
><(((°> Preparare tutti gli ingredienti, pronti per essere lavorati. Tirar fuori pure un tritatutto o robot da cucina, Jamie Oliver è velocissimo e sincronizzato al centesimo di secondo, noi magari facciamo con calma, ché non dobbiamo vincere un premio e non dobbiamo registrare una puntata televisiva di 30 minuti!
Giacché grattugiare la scorza del mezzo limone (con calma!).

><(((°>Ungere una teglia con olio d’oliva, spargervi sopra  pepe, sale e semi di finocchio.
><(((°> Adagiare i filetti pancia sotto (cioè dalla parte della carne) e massaggiare per far assorbire i sapori.
><(((°> Rivoltarli in modo che, ora, la pelle sia sotto, a contatto con la teglia.
><(((°> Infornare, al centro del forno già caldo, per  5 minuti (dipende dalla grandezza dei filetti, dall'altezza soprattutto).

       Mentre il pesce è in forno:
><(((°> Nel robot spezzettare il pane, aggiungere 3 filettidi alici con un po' del loro olio, lo spicchio d’aglio schiacciato e tritare tutto. Mettere da parte il pangrattato e liberare il robot.
><(((°> Nel tritatutto (ormai vuoto)  inserire i pomodori secchi con un po' del loro olio, i restanti filetti di acciuga, il peperoncino, l'altro spicchio d'aglio schiacciato, la scorza grattugiata e il succo di mezzo limone, una manciata di basilico con i gambi, il cucchiaio di aceto balsamico, il parmigiano e frullare tutto, si otterrà una crema profumatissima.
><(((°> Dopo 5 minuti di cottura togliere il merluzzo dal forno, sarà ancora crudo.
><(((°> Spalmare  la crema di pomodori secchi sul pesce, spolverare abbondantemente di pangrattato, ungere con l'olio della teglia i rametti di rosmarino e posizionarli sui filetti, e riposizionare in forno, stavolta il alto, sotto al grill.
><(((°> Cuocere fino a doratura e croccantatura (circa 10 minuti, sempre a seconda della grandezza dei filetti).
><(((°> Servire con le patatine novelle al vincotto e, se si desidera una nota fresca, con una insalata di finocchi. (Non è casuale la scelta dei finocchi, ricordate? i semi di finocchio con cui abbiamo massaggiato il merluzzo?).



DI PERTINENZA

Francesco Mancoè uno chef itinerante, la sua "cucina"è un chiosco su ruote, "Credenza on the Road", che porta, insieme ad Elena Venneri, il cibo da strada di qualità a base Vincotto PrimitivO su e giù per la penisola al fianco della buona musica, seguendo le tappe dello Streeat Food Truck Festival, una kermesse dedicata al cibo da strada servito rigorosamente da cucine su ruote selezionate secondo rigidi parametri; il tutto accompagnato da musica no stop, protagonisti non i soliti paninari ma curati, stravaganti e originali camioncini o food trucks, volendo usare un termine che va così di moda ultimamente. Camioncini che servono cibo DA strada e non DI strada: una sola vocale ma tanta differenza! Cibo gustoso, da mangiare in piedi, con le mani, preparato con materie prime di alta qualità, accuratamente selezionate e magari “motivate” dalla volontà di rappresentare un territorio, un’usanza, una tipicità.
 Ed è proprio con STREEAT® che 3 anni fa è iniziata l’avventura “da strada” di Credenza On The Road, truck salentino decisamente atipico: non un Ape car né un furgoncino vintage, ma una vera e propria “credenza” su ruote completamente costruita in legno con cassette e materiale di recupero. Il truck è emblema delle case di una volta, dove nella “credenza” o madia si conservavano le provviste alimentari della famiglia, simbolo di genuinità fatta in casa; la stessa qualità che vuole offrire la Credenza utilizzando e valorizzando prodotti del territorio come il Vincotto.
Il cavallo di battaglia di Francesco Manco sono proprio le patatine novelle al Vincotto che lo chef cuoce sul momento su un unico fornello ed un unico padellone gigante basculante, e che serve nei conetti di carta, così che possano essere gustate in piedi... in mezzo alla strada!
Eccolo sotto che vi offre giusto un cono!
Foto @Annalisa Russo dal sito http://www.streeatfoodtruckfestival.com/foodtruck/


Jamie Oliver l'ho conosciuto, la prima volta, grazie alla mia adorata amica Maya, che mi regalò il suo libro "Cucina smart con Jamie Oliver", un libro colorato, divertente, pieno di consigli e ricette su come cucinare con poca spesa piatti gustosi senza sprechi e in modo sano. Un tipo simpatico, Jamie, giovane e casinista, l'ho visto poi nelle sue trasmissioni dove racconta come cucinare in pochissimo tempo (15 minuti o 30),  cucina quasi come me, praticamente la sua cucina è un campo di battaglia, spruzza limoni dappertutto, lancia le verdure nei piatti (e sul pavimento), il piano di lavoro è più affollato di una spiaggia a ferragosto, serve le pietanze direttamente su tavole di legno, e poi le sue ricette sono alla portata di tutti, con ingredienti spesso freschi, verdure, tante spezie ed erbe aromatiche, insomma, è uno di noi!
Famosissimo in Inghilterra e in America, non solo perché è diventato con le sue trasmissioni e libri un milionario, ma anche perché ha convinto le mense britanniche prima e quelle americane poi, a rimuovere dai propri menù il cosiddetto junk food, il cibo spazzatura. Insomma, è una specie di promoter del cibo sano e di qualità, e, udite udite, della dieta mediterranea, e quella italiana in particolare. Difatti possiede 35 ristoranti in tutto il mondo, che portano l'insegna Jamie’s Italian.
Anche per questo è molto amato ma anche odiato.
Ora io voglio dirti, Jamie, amico mio, sei bravo, metti al centro della tua cucina la genuinità e stagionalità dei prodotti, ma figlio mio, NON PUOI FARE LA PASTA ALLA CARBONARA col chorizo (che poi, checazzè il chorizo?), lo yogurt e il rosmarino!!! Va bene reinterpretare la tradizione, ma questa è un'altra ricetta proprio!! Ma chiamala, chessò io, penne alla carbonella, pasta alla torbara, spaghetti alla tizzonara!!
ecchecavolo!




DIVAGAmente



Nulla si crea e nulla si distrugge,
ma tutto, prima o poi,
si mangia!



Tamara 

Fonti:
http://www.jamiesdinners.co.uk/jamies30minutemeals_recipes_tastycrustedcod.html
https://www.youtube.com/watch?v=FOOLMtUWtPQ
http://www.cibodistrada.it/locali/credenza
http://www.streetfoodnews.it/2016/11/09/credenza-the-road-tradizioni-sapori-del-salento/
http://www.vivavoceweb.com/2016/08/06/una-credenza-salentina-come-ponte-tra-la-barley-arts-streeat-food-truck-festival-ed-il-parco-gondar/

Sciroppo di tè. Benvenuta estate!

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Fa caldo????????? Naaaaaaaaaaaaaaaa...
In realtà ci stiamo sciogliendo, è diverso!!!!! :-DDDDDD
Prometto che oggi vi tratterrò qui per pochissimo tempo.
Ricettina fresca fresca, super sprint, ma soprattutto meravigliosa!
Ho solo un dubbio: non so se riuscirò a mettere nero su bianco l'entusiasmo che provai lo scorso anno per questa cosa.
Fatto sta che quando vidi il post della bellissima Monica, e ancor prima di terminare di leggerlo, il pentolino con acqua e zucchero era già sul fuoco e l'idea di mixare diverse varietà di tè, solleticava la mia fantasia per ottenere combinazioni di sapore fantasmagoriche!
Ero certa che il risultato sarebbe stato strepitoso; in realtà andò ben oltre le aspettative!
Ecco, appunto, volete sapere qual è stato il risultato?
Uno sciroppo di una bontà assurda e versatile in altrettanta maniera!
Basta unire acqua ghiacciata per un tè freddo mai bevuto prima e di quello già imbottigliato non ne vorrete più sapere.
Provare per credere!
Ah, un'ultima cosa: questo sciroppo è una meravigliosa idea regalo estiva.
Scegliete delle bottiglie carine, etichettatele con il tè che avete scelto e farete un figurone.
Garantito! ;-)



INGREDIENTI

350 g di zucchero semolato
350 g di acqua
5 bustine di tè a vostra scelta

Mettere sul fuoco un pentolino con l'acqua e lo zucchero; portare a bollore a fiamma vivace e lasciar evaporare l'acqua per 5 minuti in modo che inizi a crearsi lo sciroppo.
Nel frattempo preparare le bustine del tè privandole della carta all'estremità del filo ed annodarle insieme in modo che a fine preparazione sarà più agevole estrarle.
Trascorsi i cinque minuti, affogare i sacchettini del tè nell'acqua e, dopo aver abbassato un po' la fiamma, lasciar sobollire per 10-12 minuti, poi spegnere ed attendere il raffreddamento.
Estrarre le bustine del tè, strizzarle per bene recuperando tutto il liquido ed imbottigliare lo sciroppo.
Conservare in frigo ed utilizzare all'occorrenza.
Per preparare il tè sarà sufficiente miscelare sciroppo e acqua  nella proporzione di 1:5, cioè una parte di sciroppo e 5 di acqua.
Ovviamente questa è l'indicazione di massima eh? Se poi vi piace un tè più leggero o più concentrato, basterà aggiungere o diminuire acqua e/o sciroppo.
Una volta preparata la bevanda possiamo aggiungere fettine di limone, di zenzero, o foglioline di erbe aromatiche tipo la menta e, ovviamente, tanto tanto ghiaccio!
Cin cin! Buon tè a tutti!



TEATRINI DI CASA

"Ma è possibile che riesci a non capire più niente anche solo per un po' di acqua e zucchero e qualche bustina di tè?" 
"Aspetta e vedrai!" 
"Beh, beh, beh, in effetti un tè freddo così buono non lo avevo ancora mai bevuto!"
"Tiè!" 

NOTIZIE E CURIOSITHÈ

Durante la dinastia Tang si sviluppò in Cina il cosiddetto Tributo del Tè, che consisteva nell'invio di un quantitativo scelto di tè all'Imperatore che doveva essere destinato al suo consumo personale e quindi la raccolta (detta Imperiale) doveva seguire regole speciali e rigidamente codificate.
Tra queste quella che imponeva alle giovani raccoglitrici l'uso di guanti e il divieto assoluto di mangiare cibi dall'odore troppo intenso quali cipolle e aglio e spezie piccanti, per salvaguardare le foglie da eventuali sgradevoli contaminazioni.
Nel '700 la domanda di tè in Inghilterra era talmente cresciuta che difficilmente i mercanti riuscivano a soddisfare tutte le richieste, soprattutto quelle provenienti dalle classi più modeste. Per questa ragione si rivolgevano al contrabbando e al mercato nero dall'Olanda.
Il pericolo maggiore erano però le truffe a base di tè adulterato: al tè si aggiungevano foglie essiccate di piante come la liquirizia e il frassino, cotte, frantumate e decolorate con melassa e chiodi di garofano e immerse poi nello sterco di pecora.
Dal 1618, anno in cui per la prima volta lo zar Michele III ne riceve in dono, i russi diventano i principali importatori di tè cinese (nero e leggermente affumicato).
Il tè raggiungeva il mercato russo trasportato da grandi carovane composte anche da 300 cammelli ognuno dei quali arrivava a portare circa 270 kg di tè. Una carovana impiegava dai 16 ai 18 mesi per completare il suo viaggio e alla fine del XVIII sec. i russi consumavano ogni anno 6.000 carichi di cammelli.
Alla fine del XVII sec. in Inghilterra il tè più economico costava 7 scellini la libbra, equivalente di una settimana di paga per un operaio.
Oggi il tè più caro presente nel catalogo della prestigiosa maison francese Mariage Frères è il Thé Jaune Cinq Dynasties che costa 50,00 Euro ogni 20 gr. (cioè 1.132,50 Euro per 1 libbra: lo stipendio mensile di un impiegato).
Il tè giunse in Europa accompagnato dalla fama di potente rimedio contro molte malattie, così come sostenevano da secoli i medici cinesi. Ma ovviamente non mancarono le opinioni contrarie, espresse con foga dai detrattori della bevanda. Al fine di risolvere definitivamente la controversia, il re Gustavo III di Svezia si fece promotore di un curioso esperimento: a due condannati a morte venne commutata la pena in ergastolo in cambio della loro disponibilità a sorbire per due mesi ben 15 tazze al giorno di tè il primo e di caffè l'altro.
La sperimentazione, però, ebbe un esito assai imprevisto perché entrambi i clinici, incaricati di seguirne le sorti, morirono di morte naturale pochi giorni dopo il suo inizio e furono immediatamente seguiti dallo stesso Re Gustavo assassinato a seguito di una congiura di nobili.
Si salvarono e godettero di ottima salute le due cavie, che portarono regolarmente a termine la prova. 


LO SAPEVATE CHE...

Un pizzico di bicarbonato evita che il tè diventi amaro se preparato in anticipo e con il metodo classico della semplice bollitura dell'acqua e successiva infusione.


Buon proseguimento di settimana, buon caldo e buon tutto!
Emmettì.

Siate lieti, sempre! 

Parmigiana di zucchine tutto a crudo, al resto pensa Fornocard!

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Anto' fa caldo.
Lo so, come dicevo già un paio di anni fa, dire fa caldo d'estate è come scoprire l'acqua calda!  Però fa caldo, ed in questo post lo dico senza tema di risultare perissologica, fa caldo! E quando fa caldo io in cucina non cucino (questo invece potrebbe risultare antitetico), o meglio, come nel caso di questa ricetta, faccio fare il lavoro sporco e caldo al forno. Come dire, delego.

Quando vidi la ricetta dalla Chiarapassion c'erano 45° all'ombra, 165° al sole e 75° nella mia cucina, tant'è che mi sembrò un miraggio. Una parmigiana di zucchine tutto a crudo, dove non sia necessario cuocere preventivamente né le zucchine né il sugo? E che sia buonissima anche da mangiare tiepida o fredda? Da "letta e stampata" a "fatta e gustata"è stato un attimo!
Confesso che non mi aspettavo fosse tanto buona, per me ci sono cose intoccabili e immodificabili, come la frittura di melanzane e zucchine nella parmigiana, ma il compromesso fra i miei principi culinari, il forno e questa parmigiana è perfettamente riuscito!

La preparazione è molto semplice e veloce, la riuscita garantita a patto che gli ingredienti si scelgano di ottima qualità, a partire dalle zucchine, che devono essere vere. Io sono fortunata, ho delle ottime amiche... embé direte voi? che c'entrano le amiche? Ci entrano eccome, se una di queste oltre ad essere ottima è anche mia vicina di casa e ha il papà che coltiva, nella sua campagna al mare, tante verdure e frutta, fra cui le zucchine vere. E siccome lui è un ottimo papà della mia ottima amica, spesso mi omaggia di frutta, verdura e zucchine vere della sua campagna. Grazie Roberto ❤️.

Anche il resto è bene sia di qualità: pane casareccio, formaggi e affettati. Io l'ho fatta varie volte con ingredienti diversi, la mia preferita è con scamorza affumicata, mortadella e con l'aggiunta del mio pangrattato aromatizzato alla mollica,  una esplosione di gusti delicati e decisi. Eh sì, questa parmigiana s'ha da fare!





RICETTA

Dosi per una teglia 35x25 oppure per due: una piccola 14 cm x 19 cm e una media 24 cm x 18 cm

clicca per ingrandire
700 g di zucchine vere
  1 kg di pomodori pelati
200 g di mollica di pane casareccio raffermo (oppure di pangrattato aromatizzato)
150 g di scamorza o provola ben asciutta (se affumicata ancora meglio)
200 g di prosciutto cotto (oppure mortadella o speck)
  q.b. di olio extra vergine d'oliva
  q.b. di parmigiano reggiano grattugiato
  q.b. di sale e pepe
  q.b. di basilico, prezzemolo, menta.

Preparazione

ι══ﺤ  Preparare il sugo. Frullare con un mixer ad immersione i pelati, condire con un filo d’olio, un pizzico di sale e profumare con basilico fresco. Se si preferisce cuocerlo intanto che si preparano gli altri ingredienti, versare i pelati frullati e conditi in una padella in cui si sia soffritta mezza cipolla in un goccio d'olio, coprire e cuocere a fuoco medio. Se non si preferisce, non cuocerlo, poi farà tutto il forno delegato!

ι══ﺤ  Sbriciolare, con l'aiuto di un tritatutto, la mollica di pane  insieme al prezzemolo e qualche fogliolina di menta, aggiungere due cucchiai di parmigiano grattugiato, sale, pepe e un giro d'olio in modo da ammorbidire il composto. In alternativa, usare o aggiungere il pangrattato aromatizzato.
 Lavare le zucchine, togliere le due estremità e tagliarle a fette sottili, circa 2 mm, usando la mandolina o il coltello (io uso l'affettatrice, ché con la mandolina affetto pure le dita, immancabilmente!).

ι══ﺤ  Ungere una teglia con poco sugo di pomodoro, spargere un po' di mollica di pane, coprire con un primo strato di zucchine, un velo di sugo, una spolverata di parmigiano, basilico spezzettato a mano, aggiungere il prosciutto e la scamorza a pezzetti, ancora mollica di pane (o/e pangrattato aromatizzato). Ricominciare con zucchine, sugo, parmigiano ecc. fino ad esaurire gli ingredienti; terminare con zucchine, pomodoro, mollica di pane, parmigiano e un filo d'olio.

ι══ﺤ  Coprire con carta stagnola e cuocere in forno caldo a 180° funzione ventilata per circa 20 minuti, aprire il forno, togliere la stagnola (se ci riuscite senza bruciarvi avrete la mia stima incondizionata) e portare a cottura per altri 15-20 minuti circa. Sfornare quando si forma una leggera crosticina.
 Servire tiepida, ma anche a temperatura ambiente estiva è buonissima.

Note
* È sconsigliabile usare mozzarella perché, anche se ben strizzata, tende a rilasciare acqua e non va bene per questa ricetta.
* L'utilizzo del pane è il trucco per far assorbire il rilascio di acqua delle zucchine in cottura.
* Si può preparare in anticipo perché con il riposo diventa più buona e gustosa.
* Se non si dispone di basilico fresco aggiungere un paio di cucchiai di pesto al sugo, il profumo di basilico è irrinunciabile in questo piatto.

Tamara



DI PERTINENZA

Il vostro forno cosa trasmette? :)

vignetta di Silvia Ziche



DIVAGAmente

"Se avessi potuto fare una delle tue magnifiche torte tematiche, pur tenendo conto di moltissimi altri irrinunciabili ( vedi alla voce Ultimo compleanno di Barbara)... io per te avrei prescelto il tema BASILICO: il profumo di casa che non si scorda mai. Quella foglia larga che quando non c'è fa sempre venire nostalgia della fortuna di averne una pianta sul balcone, a portata di naso ❤ "

(La mia amica Silvietta del gruppo di lettura Orti di Guerra, per il mio compleanno)







Linguine al pesto di agrumi

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Nella cucina condominiale (come credo anche nelle vostre) troneggia  spavaldo il mood "Anto' fa caldo!" e, soprattutto durante la settimana, si va avanti con friselle e pomodori oppure pomodori e friselle come se non esistesse altro cibo!
Nel fine settimana però, si risveglia l'animo del food blogger e allora la voglia di preparare qualcosa di veloce, fresco e sfizioso si fa prepotentemente avanti scavallando la fiacca!
Il pesto agli agrumi dello Chef Filippo La Mantia lo scoprii tantissimi anni fa (ma non ricordo né il come né il dove) e mi colpì talmente tanto che immancabilmente, durante il periodo estivo, è uno dei miei condimenti preferiti per la pasta.
Fresco, aromatico e profumato, intenso se pur leggero, di una semplicità estrema e soprattutto senza cottura, il che, sempre per il mood di cui sopra, non guasta proprio! ;-)
Ideale per condire la pasta a caldo, ma anche a freddo, oppure per un cous cous qualora, volessimo chiudere gli occhi ed immaginare di essere nella bellissima isola di Sicilia.
Io stavolta ho scelto un formato di pasta che amo particolarmente, le linguine, e devo dire che mi è parsa proprio un'accoppiata vincente!
Dai, sedetevi a tavola e gustatela con me. :-))))))))

PESTO AGLI AGRUMI (per 400 g di pasta)

100 g di mandorle pelate
25 g di capperi sotto sale
25 cl di olio extra vergine di oliva
2 arance medie
1 mazzetto di basilico (circa 15 foglie medio/grandi)

Sbucciare a vivo le arance, sciacquare velocemente le foglie di basilico e metterle nel vaso del mixer insieme alla polpa degli agrumi, alle mandorle, ai capperi dissalati e all'olio extra vergine d'oliva.
Frullare per 2 minuti circa fino ad ottenere un pesto dall'aspetto cremoso ed omogeneo.
Nel frattempo lessare la pasta scolarla al dente e saltarla velocemente con il pesto in una padella, aggiungendo un po' d'acqua di cottura lasciando mantecare bene.
Impiattare e gustare!


Anche se le foto non sono proprio belle, spero di avervi fatto venire ugualmente l'acquolina e la voglia di provare questo pesto.
Devo dire che a casa mia è stato particolarmente apprezzato e qualcuno non si è fatto nessuno scrupolo di finire l'avanzo direttamente dalla padella!! :-DDD


Curiosità.
Filippo La Mantia, classe 1960, cuoco di professione (guai a chiamarlo chef), qualcuno lo ha già soprannominato l’uomo che sussurra ai frullatori per la sua mania di frullare ogni cosa.
Nella sua cucina non usa né aglio né cipolla.
Nato e cresciuto a Palermo, dove il buon cibo «è denominatore comune di tradizione, amore e convivialità». Come tutti i siciliani, è di poche parole e allergico ai pettegolezzi.
Un passato da fotoreporter di cronaca nera, fu uno dei primi ad arrivare sul luogo dell’omicidio del generale Dalla Chiesa. Qualche tempo dopo finì in carcere, accusato di essere complice dell’assassinio del commissario di polizia Ninni Cassarà perché gli spari partirono da un appartamento nel quale aveva vissuto ma che aveva lasciato otto mesi prima. A scagionarlo fu Giovanni Falcone. Nei pochi mesi all’Ucciardone ha cucinato per i detenuti «qualsiasi ricetta potesse far dimenticare loro di essere in una cella e farli sentire a casa».
Lui racconta così: “La cucina era totale evasione. Il profumo di un pomodoro cotto ti faceva volare oltre quelle sbarre. La cottura lentissima della salsa rossa profumata di basilico aveva un che di rituale”. Quei profumi e quei sapori semplici lo aiutarono a sopravvivere a quell'inferno e la cosa gli piacque talmente tanto, da decidere di aprire un ristorante una volta tornato in libertà.
Fonte: dal web.
*.:。✿*゚゚・✿.。.:*.:。✿*゚゚・✿.。.:***.:。✿*゚゚・✿.。.:*

Cari lettori, la cucina condominiale vi saluta lasciandovi l'augurio di una buona estate! 
Ci si legge a settembre, sperando di ritrovarvi tutti.
Una pioggia di sorrisi!

Silvia, Tamara, Maria Teresa


Manca poco...

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Stiamo tornando!



Tamara, Emmettì, Silvia

Muffin al caffè, per un ritorno a tutto gas!

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Eccoci!!! Siamo tornateeeeeeeeeee!!!!
Ben trovati amiche ed amici lettori! Come state? Spero abbiate passato una buona estate!
Avete visto che bella macchininaci siam prese per rientrare in fretta e furia nella nostra cucina? :-D
Io talmente in fretta che mi son dimenticata pure di far la spesa!
Mumble mumble...
E adesso? Cosa offro ai lettori che passeranno a salutarci? Aria fritta?
Un rapido consulto con i neuroni ancora dormienti ed è stato un colpo di fulmine!
Dai, accomodatevi che mentre facciamo due chiacchiere io preparo un dolcino veloce-veloce, buono-buono e poi vengo a sedermi per gustarlo insieme a voi!
Questi muffin sono stati una rivelazione di gusto, leggerezza ed energia allo stesso tempo!
L'abbinamento cioccolato caffè non ha bisogno di presentazioni, la sofficità di questo impasto invece sì.
Nonostante l'assenza di burro il risultato è davvero notevole e la scioglievolezza dell'impasto è degna di nota!
Merito sicuramente della tecnica di lavorazione tipica del muffin: ingredienti secchi da un lato, ingredienti liquidi dall'altro, una mescolata veloce con una frustina o un cucchiaio e voilà, il gioco è fatto! ;-)


Non so se consigliare questi muffin per la colazione, una merenda pomeridiana o addirittura per un dolce vero e proprio da fine pasto se arricchiti con un frosting al mascarpone e una spolverata di cacao. Certo, in questo caso la leggerezza va a farsi friggere, ma una volta tanto...
Se li assaggiate tiepidi ve ne innamorerete, se li mangiate freddi apprezzerete un gusto più definito, se li farcirete con il frosting diventeranno una droga (avevo detto una volta tanto...).  A voi la scelta! :-)))))
Io per il momento li sto gustando a colazione insieme ad una tazza di caffè e latte e non vi nascondo di aver ceduto alla prova inzuppo! Chevvelodicoaffà...
D'altra parte ogni nuovo giorno merita di essere inizato a tutto gas, no? :-DDD



RICETTA  (dose per 10 pirottini da 5 cm di diametro) 


(clicca per ingandire)
Ingredienti secchi:
160 g di farina 0 o 00
80 g di zucchero
50 g di cioccolato in gocce o a tocchetti
2 cucchiaini rasi di lievito istantaneo
1 cucchiaino di caffè solubile
1 pizzico di ammoniaca per dolci

Ingredienti liquidi:
1 uovo
100 ml di panna fresca
35 ml di caffè ristretto
40 ml d'olio di girasole o riso

Per l'eventuale frosting:
125 g di mascarpone
125 g di panna fresca
25 g di zucchero a velo
cacao amaro per spolverare

In una ciotola emulsionare tutti gli ingredienti liquidi e in un'altra setacciare tutti i secchi, aggiungendo per ultimo le gocce di cioccolato. Versare i liquidi sui secchi e mescolare con una forchetta o una frustina per non più di 8 giri. L'impasto si presenterà sodo e apparentemente grumoso; è proprio così che deve essere.
Riempire i pirottini per 3/4 del loro volume e cuocere a 190° per 12-15 minuti (se si fanno pirottini più grandi arrivare anche a 20 minuti).
Sfornare e lasciar raffreddare.
Per il frosting, lavorare il mascarpone e lo zucchero a velo con le fruste elettriche; montare la panna ed incorporarla con una spatola con movimenti dall'alto verso il basso per dare ariosità e "leggerezza" al composto.


APPROFONDIAMO? IL CAFFÈ E LE PRINCIPALI VARIETÀ

Portare alle labbra una tazza di caffè fumante è un gesto comune in buona parte del mondo, ma pochi si saranno posti domande sull’origine della bevanda, la sua storia, il suo significato sociale.
Sulle sue origini vi sono molte leggende. Tutti conoscono quella proveniente dal Monastero Chehodet nello Yemen, secondo la quale uno dei monaci, avendo saputo da un pastore di nome Kaldi che le sue capre ed i suoi cammelli si mantenevano “vivaci” anche di notte se mangiavano certe bacche, preparò con queste una bevanda nell’ intento di restare sveglio per poter pregare più a lungo.
Nel sistema di classificazione del regno vegetale creato dal botanico svedese Carlo Linneo, il caffè venne catalogato nella famiglia delle rubiacee, che raggruppa ben 4500 varietà tra cui 60 specie appartenenti al genere coffea.
Delle circa 60 specie di piante di caffè esistenti, solo 25 sono le più commerciali per i frutti, ma di queste solo le prime quattro hanno un posto di rilievo nel commercio dei chicchi di caffè la Coffea Arabica, la Coffea Robusta, la Coffea Liberica e la Coffea Excelsa.

Coffea Arabica
Specie coltivata e selezionata da diversi secoli.
Di questa la più rinomata è la varietà “Moka”, coltivata sopratutto in Arabia, i cui grani piuttosto piccoli, hanno un intenso profumo aromatico. Il loro colore caratteristico è il verde rame, mentre la forma è appiattita ed allungata. Altre varietà sono la “Tipica”, la “Bourbon” molto diffusa in Brasile e la “Maragogype” apprezzata per i grani più grossi che produce.
Le piante di Arabica prosperano in terreni dotati di minerali, specie quelli di origine vulcanica, situati oltre i 600 metri di altezza. Il clima ideale deve aggirarsi intorno alla temperatura media di 20°C.
La coltivazione di altre specie è stata pure introdotta dalla fine dell’ Ottocento, a seguito delle malattie che, in diverse regioni, colpirono e decimarono la Coffea Arabica.
Da allora si andarono scegliendo e selezionando altre specie in grado di dare dei grani da introdurre con successo sul mercato internazionale.

Coffea Robusta 
Affine alla Coffea Arabica, i suoi rami si incurvano a forma di ombrello, verso terra. Durante l’anno la fioritura è continua. I suoi grani tondeggianti sono più piccoli, ma più ricchi di caffeina rispetto alla specie precedente e, una volta torrefatti, risultano molto profumati. Questa varietà che vegeta anche in pianura, ha avuto molta fortuna in commercio. Scoperta nel Congo è ora molto coltivata, perchè oltre all’abbondanza di produzione ed al minor costo d’impianto, mostra alte caratteristiche di resistenza alle malattie, vegetando anche in condizioni disagiate. Alcune varietà ricavate da incroci di “Canephora” a cui la Robusta appartiene, sono molto diffuse in Indonesia, Uganda, India e nell’Africa occidentale. Inoltre è stata ricavata “l’Arabusta”, incrocio tra le due Coffee, Arabica e Robusta.

Coffea Liberica 
Proveniente dalle foreste della Liberia e dalla Costa d’Avorio, è una bella pianta longeva, robusta, rigogliosa nella vegetazione con frutti e semi grandi quasi il doppio di quelli della Arabica, ed inoltre più resistenti all’assalto dei parassiti.
E’ una pianta che richiede temperatura elevata e abbondante acqua. Per queste sue caratteristiche la Coffea Liberica è scelta come porta innesto e per ottenere, tramite incrocio, nuove varietà presenti soprattutto in Costa d’Avorio e nel Madagascar.
I suoi chicci, sebbene di qualità inferiore, danno un caffè profumato e gradevole. Con un gusto che, fino a qualche decennio addietro, piaceva maggiormente nei paesi scandinavi.

Coffea Excelsa
Scoperta nel 1904, questa specie resiste bene all’attacco delle malattie ed alla siccità.
Dà una resa molto elevata ed i grani, lasciati invecchiare, danno un caffè dal gusto profumato e gradevole, simile a quello della Coffea Arabica.

Le quattro specie descritte sono le più importanti quanto a redditività delle coltivazioni.
Per altre curiosità  continuare qui.

✿◕‿◕✿ ❀◕‿◕❀ ❁◕‿◕❁ ✾◕‿◕✾

Prima dei saluti consentitemi un ringraziamento speciale a due carissime amiche lettrici che,
durante questa estate, ci hanno fatto compagnia con le loro mail, messaggi e tantissime ricette replicate anche in vacanza! Ed è con loro che abbiamo voluto condividere parte del viaggio di rientro mentre sfrecciavamo a bordo del bolide condominiale!
Ahahahaahahhahahahhahaahahaa, quante risate di gusto ci siam fatte!!!! :-DDDDDD

Buon inizio di settimana a voi tutti!
Io mi godo l'aria fresca tanto desiderata questa estate e, non me ne vogliate, aspetto trepidante le giornate invernali in cui mi pare che il tempo scorra più lento e corpo e mente si rigenerino!  

Emmettì



Siate lieti, sempre! 


Gnoccozze - Gnocchi ripieni di cozze al guazzetto di mare

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Come dice il mio profilo, sono una figlia del mare... una cozza! Non pelosa, però, sia chiaro. Quando diverso tempo fa nella bacheca ho visto la notifica della ricetta che pubblico oggi, sono rimasta folgorata! Gnoccozze! Mai avrei immaginato che esistessero le cozze gnocche, neanche guardandomi allo specchio mi era Mai venuto neppure un dubbio, eh sì che sono svalvelata (vedi quanto contano le vocali?) e ci sarei potuta arrivare!
Ah, voi dite che non sono cozze gnocche ma gnocchi con le cozze? Cerchiamo di non trovare il pelo nell'uovo e sì, così è: sono gnocconi al nero di seppia ripieni di cozze che sguazzano in una profumatissimo guazzetto di mare. Se li è inventati Mai, che li ha pubblicati nel suo blog Il colore della curcuma, io Mai e poi Mai ci avrei pensato, quindi grazie Mai!
E voi, anche voi siete figli del mare? Ma anche se no, questo piatto fantastico ve lo consiglio lo stesso, anche se non siamo cozzanguinei...

(Non fatevi spaventare dalla lunghezza della ricetta, se si fa tutto "nel frattempo""intanto""nel mentre" in un paio di ore le gnoccozze sguazzeranno nel guazzetto)





RICETTA


 Ingredienti per 24 pezzi 
(oppure per: 4 persone golose, 6 normali o 8 che piluccano)


Per gli gnocchi:
600 g di patate gialle
130 g di farina
    8 g di nero di seppia
    1 uovo
q.b. di sale

Per il ripieno:
  26 cozze
100 ml di fumetto di mare (un bicchiere scarso)
    1 pomodoro da sugo (fresco o pelato)
q.b. di olio

Per il fumetto:
clicca per ingrandire

Tutte le teste e i carapaci delle mazzancolle
    1 cipolla (o scalogno)
    2 spicchi d'aglio
    2 pomodori da sugo
    1 bicchiere di vino bianco
400 g di acqua
q.b. di pepe in grani
q.b. di gambi di prezzemolo
q.b. di olio evo e sale

Per il guazzetto:
(tutti o a scelta)
4 seppioline
2 polipetti
1 calamaro
8 mazzancolle o gamberi (i cui scarti saranno usati per il fumetto)
4 scampi

300g di merluzzo o rana pescatrice
300 g di  pomodori da sugo (freschi o pelati)
1 carota
1/2 cipolla
3 spicchi d'aglio
q.b. di vino
q.b. d'acqua (oppure l'acqua delle cozze pulite a crudo)
q.b. di olio evo e sale
q.b. di foglie di prezzemolo

Iniziare con il fumetto.
● In una pentola soffriggere nell'olio la cipolla con l'aglio, i pomodori, i gambi di prezzemolo, il pepe e gli scarti dei gamberi.
● Quando questi ultimi cominciano a sfrigolare bagnare col vino e aspettare qualche minuto che evapori a fiamma alta.
● Abbassare la fiamma, aggiungere l'acqua, un pizzico di sale e cuocere per una mezz'oretta, col coperchio.

Nel frattempo
● Lavare le cozze e sgusciarle, conservando l'acqua che avanzerà. Se non si è capaci (da non confondere con carapaci), aprire le cozze alla fiamma, cercando di toglierle dal fuoco via via che si aprono.
● In una padella scaldare il fumetto, aggiungere il pomodoro tagliato in pezzi e un filo d'olio. Quando il pomodoro è sfatto aggiungere le cozze, farle insaporire un paio di minuti e spegnere il fuoco.
Quando sono fredde tagliare le cozze in pezzi grossolani, anche solo in due e condirle col sughetto.

Poi
● Tagliare i polipetti e le seppie in pezzi piccoli, i calamari ad anelli.
● In una padella far imbiondire l'aglio, la cipolla e la carota grattugiate. Aggiungere i pomodori a pezzetti e cuocere qualche minuto, infine il vino e far evaporare.
● Cominciare la cottura iniziando dai polipetti, che hanno bisogno di tempi più lunghi. Dopo una decina di minuti inserire le seppie, poi i calamari e continuare a cuocere, aggiungendo via via il fumetto e l'eventuale acqua delle cozze avanzata. 5 minuti prima di terminare la cottura unire il pesce tagliato in pezzi grossolani ed infine, gli ultimi due minuti, aggiungere i gamberi sgusciati e gli scampi.

Intanto
● Preparare le patate: lavarle, bucarle con una forchetta, porle in un contenitore per microonde (io uso una ciotola di vetro), coprire con un foglio carta forno bagnata e cuocere circa 15 minuti alla massima potenza.
● Appena sono pronte sbucciarle, e, se non si sono ustionate le dita, schiacciarle con lo schiacciapatate o una forchetta.
● Aggiungere la farina, il nero di seppia, l'uovo leggermente sbattuto e salate.
● Impastare velocemente fino a quando l'impasto diventa compatto e lavorabile.

Cominciare a formare gli gnocchi:
● Prelevare una pallina di impasto da circa 30 g, schiacciarla sul palmo della mano mantenendolo concavo e poggiare nell'incavo un cucchiaino di ripieno. Chiudere lo gnocco e dare la forma della cozza, a mano libera oppure servendosi della valva di una cozza lavata, asciugata e infarinata.

Lessare in abbondante acqua salata con le solite modalità gnocchesche: quando salgono a galla sono pronti!
● Via via che salgono versare gli occhi nella padella del guazzetto, così da farli insaporire ben bene.
Tritarvi su del prezzemolo fresco e impiattare insieme ad un abbondante quantità di guazzetto, ci devono sguazzare gli gnocchi.

Servire subito e godere dello sguardo ammirato prima, e del palato soddisfatto poi, dei vostri commensali!

● ● ●
Note:
Lo so, questa è una nota inutile, ma il pesceè bene che sia fresco o, se proprio non è possibile, che sia congelato di ottima qualità. Scegliete tutti o qualcuno dei pesci/crostacei/molluschi indicati in ricetta, meglio pochi ma buoni. Oppure sceglietene di diversi, se preferite. L'importante è seguire l'idea guida :)

Le foglie di prezzemolo, cotte, sprigionano un'antipatica nota amara, quindi è preferibile, per catturare il delicato sapore di questa insostituibile erba aromatica, utilizzarne solo i gambi nei sughi e nel brodo, o in tutte le preparazioni cotte. Le foglie, invece, si useranno crude in fase di mantecatura  o ad impiattamento avvenuto.




DI PERTINENZA

Il nemico dello gnocco è l'acqua (discorso valido per quello di patata, per quest'altro gnocco,
invece, l'acqua va benissimo, per dire), perché più acqua assorbe la patata assorbono le patate e più farina si dovrà usare per impastare, più gli gnocchi diventeranno farinosi e meno patatosi (! ve l'ho già detto, sì, che hanno inventato l'acqua calda?) quindi bisogna essere furbi nella scelta delle patate e della cottura:
Per fare gli gnocchi le patate migliori sono quelle a pasta bianca, o comunque patate vecchie, che contengono più amido e meno acqua. In questo modo sarà possibile anche utilizzare meno farina durante l’impasto. Se sono molto sporche di terra ancora meglio (non chiedetemi perché! Non sempre c'è una spiegazione a tutto neh?).
Se non si dispone di forno a microonde,  che è il metodo che garantisce un minor assorbimento di acqua nelle patate, lessare i tuberi in modo tradizionale, cioè in acqua bollente. Però poi sarà necessario usare più farina perché le patate avranno assorbito dell'acqua, circa il 30% su peso delle patate, contro il 20% circa se si usa il microonde (le percentuali sono riferite alla quantità di farina da usare per are gli gnocchi e non all'acqua assorbita dalla patate!).
Una valida alternativa consiste nella cottura al cartoccio in forno a circa 150 gradi, oppure a vapore, sempre con le patate intere e con la buccia.
Quando le patate non oppongono più resistenza allora saranno cotte, ma se una volta schiacciate risulteranno ancora troppo umide ecco la soluzione: farle asciugare e seccare a 100 gradi in forno per qualche minuto.
Dopo aver compiuto correttamente tutte queste operazioni, si è pronti per l’impasto, che dovrà avvenire il più velocemente possibile affinché gli gnocchi non risultino troppo collosi o elastici in cottura.

  Una volta formati gli gnocchi vanno cotti quasi subito, dopo averli fatti riposare non più di mezz'ora, altrimenti si forma una crosticina spessa che rallenterà e rovinerà la cottura.

  Per conservare gli gnocchi (qualora fosse necessario farli con ore di anticipo) si possono congelare su un vassoio, poi appena surgelati si trasferiscono in un sacchetto. Al momento di cuocerli si verseranno in acqua bollente direttamente dal freezer alla pentola!








DIVAGAmente 


"Figlia del mare ? Mah... eccomu fussi sta parentela? Cioè il mare è tuo padre o tua madre? E, soprattutto, sei nata gratis o hai dovuto pagare la tassa al Demanio Marittimo? La cosa mi incuriosisce parecchio, spero in una tua esaustiva risposta."

"Cozza, figlia di mitile ignoto".



Tamara


Scarpinòcc di Parre

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Oggi vi porto a Parre, in provincia di Bergamo. Più precisamente siamo in Val Seriana (dall'omonimo fiume Serio [ma a me il fiume Serio fa tanto ridere!!] ) nelle Prealpi Orobiche orientali.
La storia di questi ravioli nasce almeno cinque o sei anni fa, quando la moglie di un caro amico, invitandomi a cena disse: "stasera ti preparo gli Scarpinòcc!"
Fin qui nulla di strano se non fosse che il suono di quelle parole era condito da  un bellissimo accento dell'Ecuador ma con un'inflessione tipicamente bergamasca (ahahahahhahahahahaha, adoro le persone di altra nazionalità che prendono la cadenza dei nostri dialetti!!!!!).
Ricordo che apprezzai quel piatto di ravioli come una delle cose più buone mangiate fino ad allora, tanto che, sulla strada del ritorno, mi fermai in una bottega artigianale di pasta fresca per riportare a casa tutta la bontà degli scarpinocc! Volevo condividere e far conoscere al resto della famiglia questo piatto tremendamente buono! :-))
Non so come, ma fatto sta che nel corso del tempo gli scarpinocc presero posto nel dimenticatoio, fin quando l'altro giorno, mentre consultavo un elenco di disciplinari di produzione depositati presso le  Camere di Commercio d'Italia, alla lettera S incontro proprio loro: gli Scarpinòcc di Parre.
Un balzo al cuore, il dolce ricordo della volta in cui la mia amica li preparò apposta per me ed il dito che aveva già cliccato su "stampa". Avevo tra le mani LA ricetta degli Scarpinòcc.
Potevo non prepararli?  Potevo non riassaporare tutta quella bontà? Potevo non appofittare di un imminente pranzo di compleanno in famiglia per farne una dose quasi da esercito?
Che domande!!! :-))))))))

Direttamente dal disciplinare di produzione registrato presso la Camera di Commercio di Bergamo, ecco la ricettache condivido pari pari come l'ho trovata (spiegazioni del procedimento comprese).
Anzi no, proprio pari pari no, perché le quantità di latte, per la pasta ed il ripieno, erano indicate in "q.b." anziché in grammi, così come per alcune spezie.
Ora, il latte per la pasta ed il ripieno l'ho misurato e lo trascrivo.
Per le spezie, invece, sono andata a naso, anzi "a bocca" perché man mano che le aggiungevo assaggiavo per fare in modo che nessuna prevalesse sull'altra e che di tutte se ne percepisse il sentore.
Il palato non mi ha tradita. Il mix di semi di coriandolo, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, e anice stellato è stato perfetto!!!!
L'unica cosa che ho omesso è stato il macis (voi lo conoscevate? Io no!) perché non ho avuto modo di reperirlo, ma credo non se ne sia accorto nessuno!!  ;-)



Ricetta per circa 250-270 Scarpinòcc

Per la pasta 
800 g Farina di grano tenero tipo 00
200 g Semola di grano duro
4  uova intere 
40 g di burro a temperatura ambiente
280 g di latte o acqua

Per il ripieno
700 g di grana padano grattugiato
350 g di pangrattato (possibilmente pane di casa)
40 g di prezzemolo
30 g di burro
5 g di sale fino
4 uova intere
1 spicchio di aglio grattugiato
q.b. di spezie (semi di coriandolo, cannella, noce moscata, chiodi di garofano, macis, anice stellato)
q.b. di latte

Per il condimento: burro, salvia e grana.
Di questo il disciplinare non ne parla, ma a Parre, anche nel giorno della sagra dedicata agli Scarpinòcc, è usanza d'obbligo condirli così.

(clicca per ingrandire)
Preparazione della pasta.
La farina, il burro, le uova ed il latte vengono amalgamati fino ad ottenere un impasto omogeneo. L’impasto ottenuto viene lavorato manualmente o meccanicamente fino ad ottenere una sfoglia di spessore massimo pari a circa 0,6 mm (io ho sfogliato fino al terzultimo buco della mia nonna papera).
Per l’ottenimento del ripienoè necessario procedere alle seguenti operazioni rispettando le modalità di esecuzione sotto indicate: 
1. grattugiare il Grana Padano e il pane.
2. amalgamare, su di un tavolo di lavorazione, il formaggio ed il pane grattugiati con le spezie. 
3. far sciogliere il burro unendovi l’aglio ed il prezzemolo finemente tritati. 
4. rimpastare gli ingredienti di cui ai punti precedenti aggiungendo il latte e le uova fino ad ottenere un composto morbido ed omogeneo. 
Le operazioni di amalgama, sia manuale che meccanica, possono essere ripetute una seconda volta fino all’ottenimento di un impasto omogeneo, tale da presentare una distribuzione uniforme degli ingredienti impiegati. 
Realizzazione del prodotto finale.
La sfoglia ottenuta viene sezionata in dischi di diametro oscillante dai 6 agli 8 cm,  al centro dei quali viene collocato il ripieno. Tali operazioni possono essere svolte manualmente, utilizzando un apposito tavolo di lavorazione, un mattarello ed una rotella tagliapasta, o meccanicamente tramite sfogliatrice e/o raviolatrice. Nel caso di lavorazione manuale il disco di pasta così riempito viene prima ripiegato sul ripieno in modo da formare una mezza luna, quindi vengono chiusi i bordi premendoli con le dita in maniera da evitare la fuoriuscita del ripieno ed infine, schiacciato al centro con l’indice, in modo da ricavarne una forma che assomigli a quella di una caramella.

Mano a mano che si formano i ravioli, disporli su un vassoio ricorperto con carta forno o carta da cucina non stampata.
Per la cottura, portare a bollore abbondante acqua salata e, a seconda del numero dei commensali, immergervi pochi Scarpinòcc per volta in modo che prendano subito calore ed arrivino a cottura in 4-5 minuti. Nel frattempo far soffriggere in una padella, a fiamma delicata, burro e salvia fino a quando il burro diventi color nocciola.
Trascorso il tempo di cottura, scolare gli Scarpinòcc con una schiumarola e farli rosolare leggermente nella padella, insieme a burro e salvia.
Condire con del grana grattugiato e portarli in tavola belli caldi e fumanti.
Da lì a poco beatevi delle facce gaudenti di chi starà gustando questa bontà!!!! :-DDDDD


Curiosità.
Il nome deriva dalla particolare forma che ricorda una scarpetta e, secondo la tradizione, sembra che il “battesimo” sia stato del tutto casuale.
La storia racconta infatti che una casalinga dell’epoca stesse preparando questa sorta di ravioli ripieni che però risultarono di dimensioni molto più grosse rispetto agli standard del tempo. Il marito, osservando la moglie preparare le portate, esclamò “somèa scarpinòcc!” (trad. "son mica zoccoli") facendo riferimento alle scarpe che si utilizzavano appunto in quel periodo.
Da quel giorno quel particolare raviolo prese il nome di Scarpinòcc e a Parre, da ben 52 anni, nel mese di agoso di ogni anno viene rievocata una vera e popria sagra dedicata a questo meraviglioso piatto.

Note personali.
Quello che più mi ha colpito di questa ricetta, oltre ad aver ritrovato un gusto strepitoso, è stata la pasta sfoglia. Totalmente diversa dalla sfoglia che ad esempio prepara mia mamma.
Questa è molto più leggera come contenuto di uova e la presenza di latte e burro la rende così liscia e setosa che è davvero un piacere lavorarla con le mani.
E poi è meravigliosa perché è liscia, setosa, non si appiccica e non ha bisogno di un pizzico di farina neanche quando passa fra i rulli della nonna papera!! Inoltre ha una tenuta perfetta perché nessun raviolo, in fase di cottura, si è aperto!
E tutto ciò non è fantastico?? :-DDDD
Vi lascio un'ultima foto con la speranza che vi venga voglia, almeno una volta, di preparare gli Scarpinòcc!
Buona settimana a tutti voi! :-)))


Siate lieti, sempre! 


Di pane in pane: bauletti al latte

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Era da tempo che non impastavo del pane, complice il fatto di aver mandato quasi in letargo la mia pasta madre...
Ma lo scorso we è stata un'esigenza fisica/psichica mettere le mani in pasta. Pensa che ti ripensa a cosa impastare, mi viene in mente che nel freezer ho un residuo di latte in polvere da smaltire; zzzzacchete, ecco l'idea! Farò dei bauletti al latte!
Ero così curiosa di vedere in breve tempo cosa ne sarebbe uscito fuori che ho evitato prefermento, biga, lunga lievitazione, sonnoin frigo, e addirittura snobbato la pasta madre a favore del lievito di birra. Al tempo stesso, però, volevo ottenere un prodotto leggero, profumato, cotonoso e devo dire che sapore, morbidezza e sofficità sono davvero notevoli; caratteristiche, queste ultime due, che si percepiscono già mentre si impasta, al punto di non riuscire quasi a smettere! Sarà che poi gli impasti a mano regalano sempre bellissime sensazioni! Anche a voi succede così?  :-))))

Da replicare ogni volta che si vuole portare a tavola una coccola in più.
Ideali da farcire con salumi e formaggi per un buffet, da spalmare con miele o marmellata a colazione, ma anche mangiati così, senza niente per assaporare tutta la bontà del pane!
Tra l'altro, la presenza del latte in polvere, esalta il sapore in maniera straordinaria.
Ispirandomi  QuiQuoe Qua ecco i miei bauletti al latte.
Li rifacciamo insieme?? :-)))))))


Ingredienti:
500 g di farina di forza tipo 0 (W300)
320 g di latte intero
    5 g di lievito di birra fresco
  50 g di latte in polvere
  40 g di zucchero
  60 g di burro morbido
  1 cucchiaino raso di sale

Preparazione:

(clicca per ingrandire)
Setacciare la farina e latte in polvere in una ciotola; fare una fossetta e versarvi il lievito sbriciolato, il latte fresco, lo zucchero, il burro  morbido e per ultimo il sale.
Mescolare con le mani fino ad ottenere un impasto appiccicoso; spolverare un piano di lavoro con una manciata di farina e rovesciarvi l'impasto, continuando ad impastare a mano fino a che non si presenti liscio e morbido al tatto.
Avvolgere a palla e mettere in una ciotola, coprendo con un panno umido e lasciare che raddoppi. Riprendere l'impasto e, senza sgonfiarlo troppo, ricavare porzioni da 50-60 grammi e formare delle palline e lasciarle riposare per una decina di minuti. Trascorso questo tempo, stenderle delicatamente fino ad ottenere una sorta di ovale e avvolgere fino a formare un bauletto.
Disporre i panini, mano a mano che si formano, in una teglia ricoperta con carta forno; coprire con un telo di nylon (tipo una busta da freezer aperta sui lati) e lasciar lievitare fino al raddoppio.
Accendere il forno a 180° (modalità statica) e, mentre arriva a temperatura, pennellare i bauletti con un velo d'uovo sbattuto. Infornare e lasciar cuocere fino a che siano belli dorati; appena usciti dal forno pennellare con del latte per farli belli lucidi.
Lasciar intiepidire su una gratella e affondare il morso in questa soffice bontà!
I panini si mantengono benissimo fino a tre giorni se conservati ben chiusi un un sacchetto al riparo dall'aria.  È possibile conservarli in freezer appena raffreddati e lasciati scongelare a temperatura ambiente all'occorrenza. Saranno soffici e fragranti come appena fatti!!! ;-)



Qualche settimana fa si è celebrato il World Bread Day. Avrei voluto portare questo piccolo contributo, ma non ho fatto in tempo con la preparazione del post. Se pur fuori tempo massimo, torno sull'argomento con questi bellissimi versi di Gianni Rodari, lasciandovi contemporaneamente l'augurio di una buona settimana! :-)))))))))
Emmettì.

 IL PANE

S’io facessi il fornaio
vorrei cuocere un pane così grande
da sfamare tutta la gente che non ha da mangiare.
Un pane più grande del sole,
dorato, profumato come le viole.
Un pane così verrebbero a mangiarlo
i poveri, i bambini, i vecchietti e gli uccellini.
Sarà una data da studiare a memoria: un giorno senza fame!
Il più bel giorno di tutta la storia.
(Gianni Rodari)


Dimenticavo...
Questi bauletti li porto anche alla nostra Sandra che, nel suo blog, ospita le ricette orfane di Panissimo in questa altra bellissima raccolta di ricette itineranti.





Torroncini abruzzesi: tre ingredienti per un'esplosione di bontà!

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Come possono solo tre ingredienti far uscire una roba del genere??
È questa la domanda che mi son fatta la prima volta che ho assaggiato i torroncini abruzzesi!
Non mi pareva possibile che un biscotto fatto di solo zucchero, albume e mandorle potesse essere così tremendamente buono! Ma, al tempo stesso, non ho fatto nessuna fatica ad arrendermi a questa "verità". :-)))
Così, giorni fa, mentre buttavo giù la lista dei biscotti da regalare per le feste, mi son ricordata anche di loro, per poi chiedermi come ho fatto a portare solo ora questa bontà nella cucina condominiale!?!?!
Che poi i torroncini capitano proprio a ciccio in prossimità del Natale quando, dopo aver panettonato, ci si ritrova in frigo un bel barattolo pieno di albumi (perché mica si buttano, no???).
Ecco allora come riciclarli. Vi garantisco che anche voi rimarrete quasi increduli del risultato che si ottiene! E soprattutto tornerete a farli anche quando non ci saranno albumi da smaltire! ;-)



RICETTA (per circa 50 torroncini) 

» 330 g di mandorle con la pelle e di ottima qualità
» 230 g di zucchero extrafine
» 2 albumi a temperatura ambiente
» 1 scorza grattugiata di limone

Far tostare le mandorle in una padella (a fiamma bassa) o nel forno (max 100°) per una decina di minuti e poi tritarle a farina non troppo sottile.
(clicca per ingrandire)




Unire alle mandorle la scorza di limone e mescolare con una forchetta per distribuirla uniformemente.
Montare a neve ferma gli albumi, aggiungendo mano a mano lo zucchero e continuare a montare fino ad ottenere una meringa lucida.
Unire alla farina di mandorle 2/3 della meringa (la restante parte servirà per glassare i biscotti) e mescolare con un cucchiaio o con le mani.
Nel frattempo, accendere il forno a 90° in modalità ventilato.
Ottenuto un composto ben amalgamato, trasferirlo su un piano di lavoro (marmo o tappetino di silicone) e con le mani appena inumidite, formare due rettangoli con dimensioni approssimative di 35x7x1,5 cm (vedi foto passo passo). Spalmare su ciascun rettangolo il resto della meringa e tagliare i torroncini posizionandoli direttamente su una teglia rivestita con carta forno.
Infornare per circa un'ora, controllando di tanto in tanto che la meringa non prenda colore.
I torroncini non dovranno cuocere, ma solamente asciugarsi (al progressivo trascorrere dei minuti, la vostra cucina sarà inondata da un profumo irresistibile!).
Trascorso il tempo indicato, spegnere il forno e mettere lo sportello in fessura (con una pallina di carta stagnola oppure con il manico di una cucchiarella di legno), lasciando che i torroncini si raffreddino completamente prima di essere sfornati.
Appena freddi, chiuderli in un sacchetto al riparo dall'aria per mantenere intatta la loro tipica croccantezza.
Quando andrete a prenderli in mano, vi accorgerete che son diventati leggerissimi, oserei dire quasi eterei!
E come posso descrivervi l'assaggio?? Al morso, la prima cosa che si incontra è lo strato di meringa, friabilissimo e scioglievole, per poi arrivare allo strato sottostante in cui la farina di mandorle tostate, regala una croccantezza e un sapore senza eguali!
Allora, li proverete??
Io intanto ve ne offro uno (ma anche due, tre, quattro)  per iniziare la settimana con brio e con energia da vendere!
Come tutti i biscotti, anche questi migliorano col passare dei giorni. Assaporateli a distanza di una settimana per scoprire come gusto e profumo si esaltino alla perfezione!



PASSATEMPO
Passa che? Passatempo?? Esistono ancora i passatempo???
Le nostre giornate sono ormai una corsa contro il tempo!!!!
Sono rari i momenti in cui ci troviamo con le mani in mano e non saper cosa fare!
Ma questo è un male. È un male per noi! Perché dovremmo ritagliarcelo un momento della giornata/settimana/mese, in cui il tempo possa scorrere senza che gli si corra contro! Che possa scorrere per fare quello che ci piace, e che ci consente di apprezzare anche le piccole cose!
Ecco, in occasione di questo post, con la scusa di allestire un set fotografico natalizio, mi sono regalata un momento per realizzare questi abeti con i centrini di carta (qui il tutorial e un'idea su come fare un bellissimo centrotavola per le prossime feste) che mi piacciono da morire! :-))))))


Buon inizio di settimana a tutti voi!
A rileggerci presto! :-)))
Emmettì.

Cantucci con nocciole e cacao

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Avviso ai naviganti.
Da qui a Natale, su questo blog circumnavigheranno ricette di biscotti.
La cucina condominiale ne è letteralmente invasa!! Impossibile non condividere! :-)))))))

E poi come non regalare una cosa fatta con le nostre mani a chi abbiamo nel cuore?
Questi cantucci li ho letti un pomeriggio e fatti la sera stessa! Una delle tante folgorazioni che ha visto la realizzazione in men che non si dica! E per questo ringrazio la bravissima Melania, del blog Chicchidimela per averci regalato la ricetta! :-))
Cosa dire di questi biscotti?
Meravigliosi, semplicemente meravigliosi! L'abbinamento cioccolato nocciola è quel che è: non ha bisogno di essere commentato.
Leggeri, croccanti, profumatissimi e perfetti da abbinare al thè del pomeriggio, ad un buon passito nel dopo cena o, semplicemente, sotto la coperta in compagnia di un buon libro!
Unica variante apportata alla ricetta di Melania: ho aumentato la quantità di nocciole per arricchire la golosità di questo biscotto.
Insomma, da fare e rifare, condividere e regalare! :-)))))))))))

Ah, il procedimento è pari pari a quello usato per questi altri cantucci. Ho ripreso quelle foto per il passo passo, facendo un piccolo collage.



RICETTA

• 220 g di farina tipo 0
• 25 g di cacao amaro in polvere
• 170 g di zucchero semolato
• 150 g di nocciole intere tostate
• 2 uova grandi
• 1 cucchiaino di lievito in polvere per dolci
• 1 pizzico di sale

(clicca per ingrandire)
In una ciotola setacciare la farina insieme al cacao e al lievito; aggiungere lo zucchero, il pizzico di sale e mescolare con una frusta o anche semplicemente con le mani.
Formare una conca e rompervi le uova; mescolare con una forchetta facendo assorbire mano a mano la farina. Appena il composto inizia a "stare insieme", rovesciarlo su un piano di lavoro, aggiungere le nocciole e lavorare l'impasto fino ad ottenere un composto omogeneo e non appiccicoso (qualora invece lo fosse, spolverare con un po' di farina).
Dividere l'impasto e formare due filoncini, disponendoli su una teglia rivestita di carta forno.
Fare cuocere a 180° per circa 20 minuti in modalità statica, poi sfornare e lasciare intiepidire; nel frattempo portare la temperatura del forno a 150° in modalità ventilata.
Quando i filoncini saranno intiepiditi, tagliare a fettine diagonali di circa 1 cm di spessore e disporle nella teglia poi infornarle nuovamente fino a completa asciugatura (10 minuti circa con sportello in fessura). Detto fatto!



SUGGERIMENTI

Anche questi biscotti, come tutta la pasticceria secca, si prestano ad essere preparati con largo anticipo, sia per essere regalati, sia per averli a disposizione in caso di ospiti improvvisi o semplicemente come scorta.
Una volta raffreddati, conservare i cantucci nel freezer protetti da apposito sacchetto e, all'occorenza tirarli fuori dieci minuti prima di confezionarli o consumarli.
Conserveranno la loro fragranza come appena sfornati. Provare per credere!!!!

E voi? Cosa state preparando in questi giorni? Siete entrati nell'atmsofera natalizia?
Io continuo a preparare biscotti e confezionare sacchettini.
Vi anticipo che i prossimi saranno supermegafantastici!!!!
Tenetevi pronti per il botto finale (di biscotti, intendo!!!). :-DDDDD
Nel frattempo...

Siate lieti, sempre!



Cranberry, oat and white chocolate biscuits. Ottolenghi mi hai rapita!

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Vi avevo avvisati che ci sarebbero stati ancora biscotti nella cucina condominiale, no?
E quelli di oggi son davvero speciali. Io li ho già fatti e rifatti, regalati e ri-regalati, perché tutti quelli a cui li ho donati mi han chiesto il bis, con la scusa che è Natale!!
Non la so descrivere la perfezione, ma so che la perfezione sta in questi biscotti.
Sapevo che non sarebbe stato facile scrivere questo post, ma ci provo e vado subito al sodo.
Fino ad un mese fa non avevo mai sentito parlare di Ottolenghi, né mi era capitato di inciampare in qualche sua ricetta. Poi un giorno, mentre sceglievo un libro da regalare, vengo attratta da questa copertina e da lì un balzo al cuore, come un salto nel vuoto.
Voglio scoprire chi è Yotam Ottolenghi, e mi metto subito alla ricerca; leggo stralci della sua biografia, guardo foto, osservo gesti e ne resto letteralmente incantata.
Desidero che i suoi libri entrino quanto prima nella mia cucina, ma da dove iniziare??
È da un po' di tempo che penso di riprendere lo studio dell'inglese, e allora perché non ripartire proprio con un libro di dolci? Ed ecco che Sweet è arrivato. Con una sorpresa in più...
La mia socia Silvia, avendo intercettato l'intenzione del prossimo acquisto, mi ha letteralmente battuta sul tempo e... indovinate un po'?? Il libro me lo ha fatto recapitare direttamente sulla mia scrivania!!! Che emozione! 。♥‿♥
La sera stessa non ho neanche cenato. Quando sono arrivata a pagina 24 sono stata letteralmente rapita e non ho desiderato far altro: ho radunato tutti gli ingredienti sul tavolo e il mattino dopo, i biscotti erano pronti per la colazione. :-))))))
Ovviamente non ho modificato niente della ricetta. Neanche il titolo, che ho voluto lasciare in inglese per non  contaminare, anche solo con le parole, la perfezione appunto!
Eccoli qua i miei Cranberry, oat and white chocolate biscuits. Fateli anche voi. Almeno una volta!



INGREDIENTI (per circa 40 biscotti da 6 cm di diametro) 

150 g di mandorle intere con la pelle
150 g di farina 00 + una manciata per la lavorazione successiva
150 g di fiocchi d'avena
75 g di farina integrale
1/4 di cucchiaino di sale
225 g di burro a temperatura ambiente tagliato grossolanamente in pezzi da 3/4 cm
100 g di zucchero semolato
scorza grattugiata di un'arancia grande (non trattata)
125 g di cranberries tagliati a metà e ammollati in 25 ml di succo d'arancia
250 g di cioccolato bianco per la finitura


(clicca per ingrandire)
Accendere il forno 180°C in modalità statica (160° per quello a gas). Mettere le mandorle su una placca da forno e lasciarle tostare con lo sportello in fessura, per 10 minuti. Trascorso il tempo, toglierle dal forno e quando saranno tiepide al punto da poter essere maneggiate, tagliarle grossolanamente con un coltello in pezzi da 5 mm/1cm.
Nel frattempo mettere in ammollo anche i mirtilli nel succo d'arancia.
In una ciotola setacciare i due tipi di farina, aggiungere il pizzico di sale, i fiocchi d'avena e le mandorle; mescolare con le mani e riservare.
In un'altra ciotola mettere il burro ammorbidito insieme allo zucchero e la scorza di arancia; lavorare con le fruste di un mixer fino ad ottenere un composto soffice e leggero. Aggiungere il mix di farine mandorle, fiocchi d'avena, mirtilli rossi e succo d'arancia; amalgamare il tutto per ottenere  un impasto che sta insieme e rovesciare su un piano di lavoro. Con l'aiuto di una spolverata di farina, formare una palla e stendere ad uno spessore di circa 5 mm.
Con una formina tonda, ricavare dei biscotti e posizionarli direttamente su una teglia da forno foderata con apposita carta. Lasciar cuocere per 15 minuti fino a quando i bordi iniziano a dorare; sfornare e lasciarli raffreddare nella teglia. Solo quando saranno ben freddi, fondere il cioccolato in una ciotola poggiata su una casseruola con acqua che bolle dolcemente e mescolare fino a che non sarà tutto completamente sciolto. In questa fase, fare attenzione che la base della ciotola non tocchi l'acqua della casseruola, (il cioccolato bianco deve fondere a temperature molto delicate).
A questo punto glassare i biscotti con il cioccolato, usando il dorso di un cucchiaino.
Lasciare asciugare bene prima di confezionare o servire.



CURIOSITÀ

Ottolenghi, nel libro, racconta che questi biscotti venivano preparati e stravenduti nel suo negozio per il Thanksgiving, ma i clienti hanno continuato a chiederli anche dopo, ragion per cui la produzione si è estesa a tutto l'anno! Ci sarà un motivo??? :-DDDDDDD


Buon Natale, care lettrici e lettori!
Vi auguriamo di trascorrere giornate serene, piene di sorrisi e in compagnia di chi amate.
Tamara, Silvia, Emmettì


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